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Il reato di maltrattamenti in famiglia ha carattere abituale

Tribunale Firenze 23/04/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI FIRENZE

Prima Sezione Penale

Il Tribunale di Firenze,

in persona del Giudice dr. Luca D'Addario, alla pubblica udienza del 13 aprile 2018 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di J.B., nato in M. il (...) ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv.to Paola Babboni (rinunciante al mandato), sito a Castel Fiorentino, via Kennedy n. 11, libero, assente;

difeso d'ufficio dall'avv.to Sara Occhipinti del foro di Firenze, assente, sostituita ex art. 97 co. 4 c.p.p. dal'avv.to Alesssandro Rossi del foro di Firenze, presente;

IMPUTATO

a) Del delitto p. e p. dall'art. 572 c.p. perché maltrattava la moglie B.A. attraverso una condotta violente a vessatoria posta in essere da più anni e consistita in particolare nel: percuotere in più occasioni la donna, colpendola con calci, pugni, nell'offenderla e minacciarla anche mediante l'uso di un coltello, dicendole che non l'avrebbe mai lasciata in pace, che prima o poi l'avrebbe uccisa, e nel definirla bastarda, puttana, ecc. sfociando tale condotta nell'episodio di cui al capo B

In Certaldo, dal febbraio 2011 al settembre 2012

b) Artt. 582, 585 II comma nr. 2 c.p.p., perché utilizzando un coltello da cucina cagionava a B.A. lesioni consistite in graffi sul collo e sul petto

In Certaldo, in data 8/5/2012

Procedimento nel quale risulta persona offesa A.B., nata in M. l'(...), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv.to Alessandro Benelli, sito a Castel Fiorentino, via Lelli n. 3, assente;

difesa di fiducia dall'avv.to Alessandro Benelli del foro di Firenze, assente;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con decreto emesso in data 24 aprile 2013 il G.u.p. presso questo Tribunale disponeva il giudizio nei confronti dell'odierno imputato in relazione alle condotte allo stesso contestate in epigrafe, disponendone la comparizione per l'udienza del 13.6.2014, nel corso della quale, disposto il rinnovo della notifica nei confronti dell'imputato tramite consegna del decreto di citazione al difensore presente in udienza, il processo veniva rinviato all'udienza del 10.9.2014.

Nel corso della stessa, acquisito agli atti il verbale di remissione di querela e la contestuale dichiarazione di accettazione dell'imputato, si procedeva all'apertura del dibattimento e all'ammissione dei mezzi di prova richiesti dalle parti; il processo veniva dunque rinviato, per la celebrazione dell'istruttoria, alla successiva udienza del 2.10.2015, nel corso della quale, stante l'assenza dei testi, veniva disposto un ulteriore rinvio all'udienza del 14.10.2016.

Nel corso della predetta udienza, datosi atto del carico del ruolo di udienza e della conseguente impossibilità di celebrare l'istruttoria relativa al presente procedimento, lo stesso veniva rinviato all'udienza del 5.5.2017, nel corso della quale, stante l'adesione della difesa all'astensione indetta dall'Unione delle Camere Penali, veniva disposto un ulteriore rinvio all'udienza del 17.11.2017.

Nel corso della stessa, datosi atto nella rinuncia al mandato difensivo dell'avv.to Babboni e della conseguente nomina dell'avv.to Occhipinti quale difensore d'ufficio dell'imputato, si procedeva, stante il mutamento nella composizione del Giudicante, alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, e le parti si riportavano dunque alle richieste di prova già espresse nel corso dell'udienza del 10.9.2014; si procedeva dunque all'esame della persona offesa e del teste G.D.V., all'esito del quale il P.M. rinunciava all'ulteriore teste A.D.G. ed il Giudice, disposto in conformità, rinviava il processo per l'esame dell'imputato e le conclusioni all'udienza del 13.4.2018.

Nel corso di tale udienza, revocata l'ordinanza ammissiva dell'esame dell'imputato, stante l'assenza del medesimo, il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e l'utilizzabilità delle prove assunte nel corso della medesima, ed invitava dunque le parti a formulare le proprie conclusioni, udite le quali, all'esito della camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza mediante lettura del dispositivo.

Motivazione in fatto

Tanto premesso in ordine allo svolgimento del processo, alla luce dell'espletata istruttoria dibattimentale ed, in particolare, delle dichiarazioni rese, in qualità di testimone, dalla persona offesa A.B., i fatti di causa possono essere ricostruiti nei termini che seguono.

La predetta riferiva, nel corso della propria deposizione, di essersi sposata con l'odierno imputato nel 2001 e di aver avuto dallo stesso tre figli. La B. precisava che i rapporti familiari si erano svolti in maniera serena fino al 2012, anno in cui tra lei ed il marito si erano verificati frequenti litigi, dovuti soprattutto ai conflitti esistenti tra le rispettive famiglie di origine.

L'episodio da cui trae origine il presente procedimento, difatti, si verificava proprio l'8 maggio del 2012: il teste D.V., agente in servizio presso la stazione dei Carabinieri di Certaldo, riferiva a tal proposito di essere intervenuto presso l'abitazione della coppia, sita in via P. N. n. 12, in ragione della richiesta della B., la quale riferiva di essere stata aggredita dal marito.

Giunto sul posto, il D.V. apprendeva dalla B. che l'odierno imputato, infuriatosi per una richiesta di amicizia inviatale da un uomo sul social network "Facebook", l'aveva percossa alla presenza della figlia minorenne; la B. mostrava dunque all'operante alcuni graffi sullo sterno e riferiva che il marito l'aveva minacciata brandendo un coltello, il quale effettivamente veniva rinvenuto all'interno dell'abitazione, appoggiato su un tavolino.

La persona offesa tuttavia, nel corso della propria deposizione, dichiarava di non ricordare come si fosse svolto l'episodio in questione: la stessa si limitava infatti a riferire di aver avuto un litigio col marito, che si era adirato dopo aver notato la richiesta di amicizia inviatale da un uomo su Facebook, di aver dunque contattato i Carabinieri e di essersi trasferita da quel momento a casa della madre.

Per il resto, la B. si limitava a confermare quanto contestatole dal P.M. sulla base delle dichiarazioni fornite alla data dell'occorso, ossia il fatto che l'8 maggio 2012 il marito, dopo aver visto la predetta richiesta di amicizia, l'aveva percossa con un cuscino, l'aveva afferrata al collo con le mani fino quasi ad impedirle il respiro e l'aveva inoltre minacciata con parole quali "ti ammazzo, troia, puttana".

La B. riferiva peraltro, contrariamente a quanto in precedenza dichiarato, che la figlia minorenne in quell'occasione non era presente; nessun riferimento, d'altra parte, veniva dalla stessa fatto né al coltello col quale - secondo quanto dichiarato all'epoca dei fatti - il marito le aveva procurato i graffi sullo sterno, né a precedenti episodi di violenza.

L'episodio veniva peraltro collocato dalla persona offesa nell'ambito del difficile periodo che la coppia aveva trascorso nell'anno 2012, quando i contrasti esistenti tra le rispettive famiglie di origine avevano innescato una serie di litigi e discussioni. L'episodio accaduto l'8 maggio del medesimo anno - riferiva la B. - aveva costituito l'apice della conflittualità vissuta, e difatti, dopo tale data, i rapporti tra i coniugi si erano completamente ristabiliti.

Motivazione in diritto

Orbene ciò detto in punto di ricostruzione dei fatti, deve rilevarsi come dall'istruttoria svolta non siano emersi elementi sufficienti a ritenere integrati i delitti di maltrattamenti e di lesioni aggravate contestati ai capi a) e b) dell'imputazione.

L'impianto accusatorio dell'odierno procedimento, infatti, si fonda unicamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa all'epoca dei fatti, dichiarazioni le quali venivano solo in parte confermate dalla stessa nel corso del proprio esame testimoniale.

E' in ogni caso doveroso esaminare quanto dichiarato dalla B., la quale comunque, seppur stimolata dalle contestazioni operate dal P.M., forniva un'apprezzabile ricostruzione dei rapporti con il marito e dell'episodio accaduto l'8 maggio 2012.

La predetta, infatti, riferiva che nel 2012 tra lei e l'odierno imputato si erano verificati frequenti litigi, dovuti ai conflitti esistenti tra le rispettive famiglie di origine, e che l'episodio in questione veniva a costituire l'apice della conflittualità vissuta in quel periodo dalla coppia. La B. riferiva spontaneamente che in quell'occasione il marito, in uno sfogo di gelosia, la aveva "alzato le mani", e su contestazione del P.M. confermava che lo stesso l'aveva percossa con un cuscino e le aveva stretto il collo con le mani, fino quasi ad impedirle il respiro.

Per il resto, la medesima negava che l'imputato, in quell'occasione, le avesse procurato dei graffi allo sterno con un coltello; nessun riferimento, d'altra parte, veniva fatto a precedenti episodi di violenza, fisica o verbale.

Ebbene sulla base di ciò non può ritenersi integrato, dal punto di vista sia oggettivo che soggettivo, il delitto di maltrattamenti contestato al capo a) dell'imputazione. Tale fattispecie, infatti, si configura come reato necessariamente abituale, e si si caratterizza 'per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità' (cfr. Cass.pen., sez.VI, 28.2.1995, n.4636 massima n.201148), in particolare, secondo questo condivisibile avviso interpretativo, tale abitualità deve estrinsecarsi nel compimento di una pluralità di 'atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale dei soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze' (cfr. ex multis Cass.pen., sez.V, n.2130 del 9.1.1992, massima n.189558).

Ebbene nel caso di specie dall'istruttoria non è emerso alcun elemento in grado di attestare quella molteplicità e ritualità dei gesti di violenza, anche fisica, che costituisce elemento costitutivo del delitto di maltrattamenti: la persona offesa, infatti, non faceva alcun riferimento - e ciò né nel corso della propria deposizione, né all'epoca dei fatti - ad episodi di violenza differenti ed ulteriori rispetto a quello dell'8 maggio 2012.

Né può dirsi che, in ragione della conflittualità di coppia, la B. sia stata costretta ad un regime di vita vessatorio e mortificante, avendo anzi la stessa palesato di considerare sinceramente quello dell'8 maggio un episodio assolutamente isolato: difatti, dopo l'occorso, la coppia decideva di porre fine alle discussioni e ai litigi che si erano verificati nell'ultimo periodo, così palesando una effettiva volontà di proseguire con serenità la vita matrimoniale.

Ciò posto, il tenore delle dichiarazioni rese dalla persona offesa impone una riqualificazione della condotta contestata nelle differenti fattispecie di percosse, di cui all'art. 581 c.p., e di minaccia, di cui all'art. 612, co. 1 c.p.

La stessa, infatti, riferiva che il marito prima l'aveva colpita con un cuscino, e successivamente l'aveva stretta con le mani al collo, preferendo al suo indirizzo le parole "ti ammazzo, troia, puttana!".

Ebbene la fattispecie di percosse si configura allorquando la violenza produca al soggetto passivo soltanto una sensazione fisica di dolore, senza postumi di alcun genere, mentre il diverso delitto di cui all'art. 582 c.p., qui contestato, sussiste quando il soggetto attivo cagioni a quello passivo una lesione dalla quale derivi una malattia nel corpo, sia pure di modesta entità (cfr. Cass. Sez. 5, n. 9448 del 12/10/1983, Rv. 161136).

Ebbene nel caso di specie, in assenza di qualsivoglia certificazione medica in grado di attestare le lesioni subite dalla persona offesa, deve ritenersi che dalla condotta dell'imputato non sia derivata alla stessa alcuna conseguenza patologica costituente "malattia", ma unicamente una sensazione fisica di dolore, senza postumi di alcun genere.

Il delitto di percosse risulta integrato anche dal punto di vista dell'elemento soggettivo, essendo emersa con evidenza la coscienza e la volontà, in capo all'imputato, del proprio agire criminoso: lo stesso infatti, adiratosi per la richiesta di amicizia che la moglie aveva ricevuto su Facebook, la colpiva col cuscino con l'evidente volontà di cagionarle una sensazione fisica di dolore.

Per quanto concerne la fattispecie di minaccia, di cui all'art. 612 co. 1 c.p., deve rilevarsi come la stessa risulti integrata anzitutto sotto il profilo oggettivo, avendo l'imputato rivolto alla persona offesa le parole "ti ammazzo" e dunque prospettato alla stessa un male ingiusto, incutendole così timore e menomandone la sfera della libertà morale; il reato sussiste senz'altro, del resto, sotto il profilo soggettivo, avendo l'imputato proferito le predette parole alla moglie con assoluta consapevolezza e volontà di intimorirla e turbarla.

Ciò posto deve tuttavia rilevarsi come le condotte delittuose poste in essere dall'imputato, così come riqualificate nell'ambito delle fattispecie di cui agli artt. 581 e 612 co. 1 c.p., risultino procedibili a querela di parte, querela che la persona offesa personalmente dichiarava di rimettere - con contestuale accettazione da parte dell'imputato - in data 9.10.2014 (cfr, verbale di remissione e contestuale accettazione di querela del 9.10.2014 acquisito agli atti); pertanto, attesa l'intervenuta remissione di querela e rilevato che non sussistono allo stato degli atti i presupposti per una sentenza di proscioglimento, si impone una sentenza di non doversi procedere per essere i reati contestati, riqualificati nei termini che precedono, estinti ai sensi dell'art. 152 c.p.

Ai sensi degli artt. 531 c.p.p. e 152 c.p., deve pertanto dichiararsi il non doversi procedere nei confronti di J.B. in ordine ai reati al medesimo ascritti, previa riqualificazione delle condotte contestate nell'ambito delle fattispecie di percosse e minacce, per essere gli stessi estinti per intervenuta remissione di querela.

In ordine alle spese del presente procedimento deve evidenziarsi come le parti non abbiano raggiunto un accordo, non risultando il medesimo dal complesso delle due dichiarazioni (di remissione della querela e di accettazione della remissione), con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 340 u.co. c.p.p., le spese del presente procedimento devono porsi a carico del querelato.

Visto l'art. 544, III c.p.p., si ritiene congruo indicare il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione atteso il carico di lavoro del decidente e la complessità delle imputazioni.

P.Q.M.

Visti gli articoli di cui indicati in epigrafe nonché gli artt. 531 c.p.p. e 152 c.p., dichiara non doversi procedere in ordine al reato ascritto, nell'ambito del presente procedimento, a J.B., previa riqualificazione delle condotte contestate nell'ambito delle fattispecie di percosse e minacce (di cui agli artt. 581 e 612 c.p.), per essere le stesse estinte a seguito di intervenuta remissione di querela;

Visto l'art.544.III co. c.p.p., indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione, atteso il carico di lavoro del decidente e la complessità delle imputazioni.

Così deciso in Firenze, il 13 aprile 2018.

Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2018

Tags: Dir. Penale

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