Arruolare operatori di sicurezza privati non è reato

Tribunale civile e penale di Bari – Sezione del riesame – ordinanza 18 ottobre 2004, n. 1467 Presidente Marrone – Relatore Abbattista - Ricorrente S.

Gli esiti delle indagini seguite al sequestro, avvenuto in territorio iracheno, nel mese di aprile 2004, ad opera di gruppi armati di estrazione islamica, dei cittadini italiani S. S., M. A., U. C. e M. Q. ed al successivo omicidio di quest’ultimo portavano l’Ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bari ad ipotizzare la configurabilità del delitto di cui all’articolo 288 Cp,

relativo al cosiddetto arruolamento illecito, nei confronti di S. G. P. Lo S., infatti, secondo l’impostazione accusatoria, risultava aver reclutato, nell’interesse della società “Presidium”, mediante la stipula in territorio di Sammichele di Bari dei relativi contratti di impegno, il C. e l’A., nonché, previa trasmissione via internet del testo prestampato del contratto, anche tale D. F., tutti destinati ad essere occupati quali operatori di sicurezza in territorio iracheno – dove erano in corso atti di guerriglia, posti in essere da parte di fazioni islamiche contro le truppe angloamericane ivi impegnate in operazioni di peacekeeping – in favore proprio di dette Forze armate.

A fondamento dell’impianto accusatorio si ponevano, tra l’altro, le risultanze di articoli di stampa, gli esiti di intercettazioni telefoniche, significative acquisizioni documentali, nonché le dichiarazioni rese agli inquirenti da parte degli operatori di sicurezza ingaggiati dallo S., compresi due ex ostaggi, e di altri colleghi di questi ultimi, operanti in territorio iracheno nell’interesse della “Presidium International Corporation” o della società avallata “Dts”.

Tali risultanze ponevano in luce: il reclutamento in territorio italiano, tramite intermediari, da parte di società straniere, come la “Presidium”, di operatori di sicurezza italiani da utilizzare in Iraq per la scorta ai convogli umanitari o la sicurezza di società ed uomini di affari statunitensi od occidentali; la disponibilità di armi da guerra in capo agli operatori di sicurezza ed il rilascio del relativo porto d’armi da parte del governo militare provvisorio angloamericano (Cpa); la divisione di compiti tra i medesimi operatori – si distinguono autisti e tiratori scelti o sniper – e la peculiare denominazione, secondo terminologia tipicamente militare, delle singole squadre operative, come la “Delta 15” che raggruppava i protagonisti della vicenda in esame; la possibilità, per gli operatori di sicurezza, di effettuare posti di blocco e rispondere al fuoco in caso di attacco, avvalendosi anche della collaborazione delle Forze armate regolari statunitensi.

Sulla scorta degli elementi predetti, l’Ufficio del Pm presso il Tribunale di Bari, conseguita l’autorizzazione a procedere da parte del Ministro della Giustizia e rinvenuti gravi indizi di colpevolezza nei confronti di S. G. P. in relazione alla commissione del delitto indicato in epigrafe, nonché la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 lettera b) e c) Cpp, richiedeva al Gip l’applicazione della misura cautelare del divieto di espatrio.

La misura richiesta veniva imposta dal Gip con ordinanza dell’1 ottobre 2004. Avverso detta ordinanza presentava istanza di riesame la difesa di S. G. P. che ne eccepiva il difetto dei presupposti di legge. Instava, pertanto, per l’annullamento dell’impugnato titolo cautelare e la revoca della misura coercitiva in atto. Rileva il Collegio come la norma di cui all’articolo 288 Cp – che, collocandosi nel titolo codicistico relativo ai delitti contro la personalità dello Stato, sanziona la condotta di «chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini perché militino al servizio o a favore dello straniero» – miri a tutelare il potere di coscrizione militare e di invio all’estero del soccorso militare, trattandosi di prerogative spettanti esclusivamente allo Stato.

Detta norma del codice penale ordinario risulta, peraltro, richiamata dall’articolo 77 del codice militare penale di pace, che sanziona la condotta attiva del militare, sotto l’emblematico nomen juris di “alto tradimento”. Secondo la dottrina dominante, e in difetto di significative pronunzie della giurisprudenza di legittimità, è, dunque, necessario, per la sussistenza del reato, che l’agente, nel territorio nazionale ed in mancanza della prescritta approvazione governativa, arruoli o armi cittadini italiani affinché prestino un’attività militare vera e propria – in modo da poter essere definiti “militari” alla stregua delle vigenti norme di diritto positivo – o entrando a far parte delle forze armate straniere ovvero, comunque, operando in armi in favore dello straniero, pur senza essere inquadrati nelle sue forze militari regolari.

D’altra parte, ad avviso di autorevole dottrina, la genericità del dato positivo induce a ritenere che il delitto sussista sia nel caso che il beneficiario della “militanza” sia uno Stato estero sia nel caso che si tratti di fazioni, partiti e simili operanti nello Stato estero.

Risponde, consequenzialmente, del reato il solo soggetto attivo, vale a dire colui il quale arruola o arma; i cittadini arruolati o armati non sono punibili, e ciò anche nel caso in cui si siano offerti spontaneamente. È, inoltre, richiesto, in capo al soggetto attivo, secondo la tesi prevalente, il dolo specifico, consistente nella coscienza e volontà di arruolare o armare cittadini con il fine specifico di farli militare a servizio o a favore dello straniero e con la consapevolezza che il fatto non è autorizzato dal Governo italiano; detta mancanza di approvazione viene presunta in difetto di un’approvazione esplicita.

Il delitto si consuma, infine, nel momento e nel luogo in cui uno o più cittadini sono stati arruolati o sono state consegnate ad essi armi e munizioni, mentre non risulta necessario che l’arruolato o l’armato sia passato all’estero o abbia preso effettivo servizio, giacché il delitto non è costituito dal fatto di costui, bensì da quello dell’arruolatore o armatore.

È ritenuto generalmente ammissibile il tentativo. Nel caso di specie, un primo punto pare delinearsi con sufficiente chiarezza dall’esame degli atti del procedimento: l’intervento dello S. nella sottoscrizione dell’impegno, in Sammichele di Bari, da parte dell’A. e del C., nonché nell’invio di copia del contratto al F. che vi aderiva, affinché tutti, unitamente allo S. medesimo, prestassero attività lavorativa in Iraq, quali operatori di sicurezza, nell’interesse della società “Presidium International”, avente sede legale nelle isole Seychelles (ma risultata avere una delle succursali italiane in Sammichele di Bari), o, comunque, di società da questa avallate, come la “Dts Security Llc”, avente sede legale in Nevada, con la quale veniva effettivamente sottoscritto, in Iraq, il contratto definitivo.

Tale circostanza è confermata dalle dichiarazioni rese agli inquirenti da parte degli interessati, che pongono, altresì, in luce il ruolo attivo rivestito dallo S. nell’intera operazione (F., verbale di sit del 12 maggio 2004: «S. mi ha chiesto se poteva interessarmi un lavoro di scorta ad alto rischio in Iraq; io gli ho dato la mia disponibilità…l’affare è slittato fino ai primi di aprile, quando S., dopo avermi contattato telefonicamente, mi ha spedito un contratto provvisorio da sottoscrivere…S. mi aveva già menzionato che il lavoro si sarebbe svolto per conto di questa società che sapevo essere intestata a Salvatore S.…nel corso di una riunione cui ho partecipato con C., A., S. e S. abbiamo sottoscritto il contratto definitivo…io e C. avremmo dovuto essere gli autisti di macchine blindate, A. lo sniper, S. l’aiuto sniper e S. non saprei cosa; le macchine avrebbero dovuto essere fornite dalla ‘Dts’ ed avremmo dovuto scortare i personaggi di questa società impegnata nella ricostruzione che, però, non sono mai giunti»; C., verbale del 6 luglio 2004: «…incontrai S. G.…mi disse che l’ingaggio sarebbe durato un mese, che il compenso era di 7000 dollari per un mese di lavoro…alle spese di viaggio provvide Salvatore S. che conobbi in aeroporto e che in seguito seppi lavorava nella ‘Presidium’, esattamente ne era il presidente…in occasione dell’incontro al mio paese – trattasi di Sammichele di Bari; nde –, poco prima della nostra partenza, S. mi fece firmare un foglio nel quale si diceva che la ‘Presidium’ ci avrebbe fatto lavorare presso la società americana di cui non ricordo il nome...»; A., verbale del 6 luglio 2004: «S. che collaborava con la Presidium…mi chiamò nuovamente un mese prima e ci vedemmo di persona a Sammichele di Bari, in Puglia…firmammo un impegno di collaborazione con la Presidium, società che sapevamo doveva prestare il proprio personale alla ‘Dts’…Arrivato a Bagdad ho firmato un contratto con la ‘Dts’, le condizioni erano state però contrattate prima, in particolare erano state fissate da Salvatore S. con il responsabile della ‘Dts’…una e-mail dalla ‘Dts’ a S., girata da S. a S., conteneva il periodo del contratto, un mese con possibilità di rinnovo, l’oggetto del contratto, il compenso, 7000 dollari per il mese di attività, la denominazione della squadra…nella ‘Presidium’ S. aveva ruolo dirigenziale, S. era un formatore, un operativo»).

Significativa, quanto al ruolo dello S., soggetto collocato in posizione apicale all’interno della società “Presidium”, appare, altresì, la circostanza dell’essere risultato il predetto aver ricevuto denaro, da parte della “Dts”, quale corrispettivo per la forza-umana fornita a tale ultima società. Depongono univocamente in tal senso: le dichiarazioni rese ai Ppmm della Procura della Repubblica di Genova, ed acquisite agli atti del presente procedimento, da M. C., in data 5 luglio 2004, quando questi spiegava che «S. e C. – trattasi di esponenti della ‘Dts’; nde – contattarono prima S. e poi decisero di far arrivare gli altri quattro, A., C., F., S., i cui nominativi vennero forniti dallo stesso S.…fu S.…a parlare con loro: S. si occupò dell’ingaggio, mi risulta che a S. venne promessa una percentuale su ciascuna delle persone così ingaggiate, fu S. a parlarcene»; le dichiarazioni rese ai medesimi magistrati genovesi il 6 luglio 2004 da A. M., che spiegava «…sapevamo, inoltre, che, per ogni persona prestata alla ‘Dts’, la ‘Presidium’ avrebbe ricevuto 1000 dollari»; le dichiarazioni rese dallo stesso S. al Pm barese il 27 settembre 2004, quando l’indagato illustrava che «S.…aggiunse che S. percepiva 1000 dollari per ogni persona che veniva ingaggiata in Iraq…al momento, per solidarietà con S., decidemmo di rimanere con lui».

È, inoltre, versata in atti copia del documento di impegno – testualmente denominato “accordo professionale” – sottoscritto dagli operatori italiani con la “Presidium” in data 1 aprile 2004. In particolare, si evince da tale documento che «l’operatore firmatario della presente è autorizzato dalla Presidium a prestare la sua opera alla ‘Dts Llc’, firmando regolare contratto a Baghdad per mesi uno, per 7000 Dollari Us» (cfr. punto 2 della copia acquisita agli atti), nonché che «l’onorario per la prestazione professionale è elargito direttamente dalla ‘Dts Llc’» (cfr. punto 3 del predetto “accordo professionale”); il che consente di ritenere che gli operatori sapessero sin da principio di impegnarsi con la società “Presidium” al fine di lavorare, quale “personale specializzato per compiti di protezione ravvicinata in Iraq” – come testualmente è scritto nel documento versato in atti –, in favore della “Dts”, in quanto società dalla prima avallata. Appare, pertanto, ragionevole, sulla scorta delle emergenze documentali appena esposte, configurare il ruolo della “Presidium” quale società preposta al reclutamento ed alla fornitura della forza-lavoro, vale a dire gli operatori di sicurezza da impiegare in Iraq in assetto armato, in favore della “Dts”.

Deve aggiungersi come, in astratto, al contratto scritto ben possano accompagnarsi intese integrative verbali di cui, tuttavia non consta, allo stato, il contenuto. L’impegno sottoscritto nel territorio nazionale da parte degli operatori italiani risulta, dunque, finalizzato, in concreto, alla prestazione di servizio di vigilanza, alle dipendenze della società straniera ingaggiante, per la sicurezza dei dipendenti di una società di capitali estera impegnata nella ricostruzione in territorio iracheno.

Difficoltà successivamente sopravvenute portarono, poi, gli operatori, in tal modo ingaggiati, ad occuparsi per alcuni giorni, prima del programmato rientro in Italia, esclusivamente della sorveglianza all’interno dell’Hotel “Babylon” di Bagdad dove erano alloggiati alcuni dipendenti della società statunitense “Bearing Point” (A., verbale citato: «...subito iniziammo a svolgere compiti di vigilanza ad un piano dell’albergo, dove alloggiava personale della ‘Bearing Point’ che avevamo il compito di proteggere…il nostro incarico primario rimaneva comunque quello di scortare un cliente fornito dalla ‘Edinburgh Risk’; gli accordi erano che saremmo stati impiegati tutti nel nuovo lavoro di scorta…i tecnici della ‘Bearing Point’ erano stati scortati fino alle macchine fuori dall’hotel dai ragazzi che ci avevano preceduti, noi ci limitammo al servizio di vigilanza ai piani»; F., verbale citato: «giovedì 8 aprile, nel corso di una riunione ho appreso che le opportunità di lavoro indicate nel contratto sottoscritto erano saltate…in attesa di iniziare il lavoro vero e proprio ci veniva chiesto di effettuare la vigilanza ai piani dell’albergo dove erano alloggiati i responsabili di una ditta americana che mi sembra si chiamasse ‘Beiring Point’…una volta venuto meno il lavoro prospettato, S. disponeva il nostro rientro in Italia…»). Devono, ancora, ritenersi accertate, perché ammesse in sede di sommarie informazioni testimoniali rese da parte dei predetti operatori e di altri loro colleghi analogamente impegnati in Iraq, le seguenti circostanze: consapevolezza, in capo a tutti i protagonisti della vicenda, delle rigorose limitazioni imposte dalla normativa nazionale allo svolgimento, da parte dei privati, di attività di vigilanza e sicurezza armata cui i predetti non erano abilitati; disponibilità, in capo agli operatori, di armi da guerra consegnate da responsabili italiani in Iraq della “Dts”, società avallata dalla “Presidium”; divisione degli operatori in squadre e rigida ripartizione dei ruoli (C. e F. ammettono di essere stati assunti per operare come autisti, mentre altri, come Q., fungevano da sniper o tiratori scelti). Ciò posto, rimane, tuttavia, da valutare l’idoneità della condotta tenuta dal ricorrente ad integrare gli estremi del delitto contestato in rubrica cautelare e, dunque, a consentire di configurare la militanza degli operatori di sicurezza italiani – secondo il dettato dell’articolo 288 Cp – in favore dello straniero, individuato dalla pubblica accusa nelle Forze armate angloamericane.

Occorre, pertanto, rinvenire il canone ermeneutico adeguato a definire la portata della previsione codicistica relativa alla militanza del cittadino “al servizio o in favore” dello straniero.

La tesi accusatoria, condivisa dal giudice della cautela, fonda la militanza degli operatori italiani, “ingaggiati” per il tramite dell’odierno ricorrente – e sicuramente non inquadrati organicamente all’interno di forze armate straniere –, in favore delle truppe angloamericane sulle seguenti circostanze: la finalità dichiarata della “Presidium Corporation”, avente sede legale nelle isole Seychelles – e cioè in un “paradiso fiscale”, privo di controlli pubblici stringenti –, di operare non solo nel settore della sicurezza, ma anche e soprattutto, come emergente dalla home-page del relativo sito web, in quello della formazione di operatori preposti alla “negoziazione per la risoluzione dei rapimenti”, al “controspionaggio”, ai “piani di evacuazione”, alle “ricognizioni”, allo “sminamento e bonifica nel territorio”, ed ancora al “combattimento nella giungla”, in ambiente “urbano”, nel “deserto”, ed, infine, al “controterrorismo”, alla “controguerriglia” ed alla “controsorveglianza” (vale a dire tecniche per eludere la sorveglianza di altri body-guard); la disponibilità di auto blindate e l’assetto di guerra degli operatori, risultando sproporzionata la dotazione di fucili “Fal”, vale a dire armi del tipo in dotazione a truppe regolari, mitragliatori Mp5 e pistole Cz di grosso calibro in capo a meri “vigilantes”; la terminologia marziale che connota l’operato dei body-guard italiani, sottoposti a “regole di ingaggio”, suddivisi in squadre di denominazione militare come la “Delta 15” ed in specifici ruoli operativi prestabiliti, comprensivi anche degli sniper o tiratori scelti professionali, secondo quanto dichiarato dagli stessi interessati; il rilascio del porto d’armi da parte del Cpa (“Coalition Provisional Authority”), governo militare provvisorio angloamericano, che, di tal guisa, si sarebbe avvalso delle prestazioni armate dei cittadini italiani; la condotta tenuta, in concreto, dagli operatori predetti, i quali risulterebbero aver agito non solo per garantire la sicurezza degli ospiti dell’Hotel “Babylon” di Bagdad, ma anche in posti di blocco unitamente ai soldati angloamericani di cui potevano chiedere l’intervento in caso di attacchi armati.

Spiegava, al riguardo, alla Pg il 17 giugno 2004, C. P., operante in Iraq dal mese di febbraio 2004 e già impegnato, unitamente a Q. ed a responsabili della “Dts”, nella vigilanza presso l’Hotel “Babylon”, che «avevamo il potere di fermare e controllare le persone ed in caso di necessità di aprire il fuoco sempre e solo in risposta ad un attacco armato; preciso che questa attività veniva svolta con l’avallo della Polizia irachena, ivi presente, e delle stesse forze della coalizione, che autonomamente o su nostra richiesta, ci coadiuvavano nell’espletamento delle nostre attività…ritengo che era collaborazione piena (con gli angloamericani) nel senso che eravamo pienamente tollerati ed anzi voluti e, come detto, potevamo in caso di necessità richiedere il loro intervento ma non il contrario…agli inizi di aprile, prospettatasi un’altra importante opportunità di lavoro per una compagnia di telefonia...si rendeva necessario reclutare nuovo personale per comporre una squadra di almeno 11 persone…in vista di tale opportunità furono contattati C., A., S., S. e F., ognuno di loro avrebbe dovuto ricoprire un incarico specifico…per i nuovi arrivati non ci fu il tempo materiale di fargli conseguire il porto d’armi, né altri documenti di accredito; anche loro come noi, all’interno dell’albergo, lavoravano armati; preciso che le armi sono state fornite per tutti da P. S. e V. C.». A tanto si aggiunga il dato, emerso dalle indagini, riguardante l’impegno degli italiani operanti nella sicurezza anche in attività di addestramento di guardie irachene preposte alla tutela dei convogli umanitari.

Tale circostanza si fonda sulle dichiarazioni rese ai Ppmm genovesi il 5 luglio 2004 da M. C., operante in Iraq per la “Dts” già dalla fine del 2003, il quale illustrava che «incontrai S. a Bassora, facevamo piccoli lavoretti, principalmente addestramento di guardie irachene che erano impiegate nella protezione di appartenenti a società umanitarie americane; tale addestramento prevedeva ovviamente anche l’uso di armi, kalashnikov principalmente».

Rileva il Collegio come la eccessiva ampiezza del dato testuale codicistico relativo alla “militanza” al servizio o in favore dello straniero determini la necessità di fissare specifiche griglie ermeneutiche, onde evitare di rendere l’articolo 288 Cp una sorta di norma-contenitore, idonea ad inglobare qualsivoglia attività armata prestata da cittadini all’estero o in favore di soggetti esteri. Invero, l’utilizzo, da parte del legislatore, del verbo militare (“affinché militino…”), anziché di altre espressioni, come ad esempio il termine “operare”, induce ragionevolmente a ritenere che per la realizzazione della condotta tipica occorra un quid pluris rispetto alla mera prestazione di opera in favore o al servizio dello straniero; tale quid pluris ben può essere rinvenuto, alla stregua del dato testuale codicistico, che richiama l’arruolamento o l’armamento dei cittadini, nello svolgere l’attività sanzionata – ed orientata secondo il fine tipico – con assetti o moduli organizzativi ed operativi di tipo militare.

Appare, dunque, corretto affermare che “militano” soltanto quelle persone che sono adibite ai servizi propri della forza armata, e specialmente alla difesa e all’attacco di militari, in corpi regolari o irregolari. Si è, inoltre, sostenuto, in dottrina, che quando, peraltro, una persona presta non soltanto un servizio tecnico, ma sempre, o in determinate contingenze, è obbligata anche a servizi propriamente militari (è il caso di medici, veterinari, commissari e simili), è indubbia la sussistenza del requisito della militanza.

La militanza così definita deve essere, inoltre, orientata, secondo la previsione normativa, verso l’agevolazione (“al servizio o a favore”) dello straniero. Appare, pertanto, necessario individuare la reale portata attribuita dal legislatore a tale definizione. Principio-guida dello scandaglio ermeneutico deve necessariamente diventare, per l’interprete, il dato letterale scandito dalla rubrica dell’articolo 288 Cp, che recita testualmente “Arruolamenti o armamenti non autorizzati a favore di uno Stato estero”.

Risulta, dunque, evidente, alla stregua delle coordinate esegetiche appena esposte, come il beneficiario della prestazione o della militanza non possa essere né il nemico, trattandosi di diversa ipotesi di reato, né il soggetto privato estero. Nell’espressione “straniero”, utilizzata dal legislatore anche in altre norme del tessuto codicistico, come l’articolo 243 Cp, relativo al reato di “Intelligenze con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato italiano”, la legge penale ricomprende, in generale, tanto il Governo di uno Stato estero, quanto gli agenti di esso, come pure ogni altra persona straniera idonea che agisca per incarico occulto del Governo estero o, comunque, nell’interesse di questo pur in difetto di mandato.

Per accertare la qualità del soggetto agente ed il suo collegamento con il Governo estero è da ritenere sufficiente il libero convincimento del giudice, giacché non può rinvenirsi atto pubblico relativo al conferimento di incarichi riservati o relativi ad operazioni di intelligence. Più specificatamente, ai sensi dell’articolo 288 Cp, devono intendersi quale “straniero”, destinatario della militanza armata, in primo luogo, lo Stato estero, finalisticamente inteso nella sua dimensione pubblicistica e, dunque, nelle sue Istituzioni, anche solo rudimentali o affermate a livello embrionale o, ancora, in via di gestazione, anche antagonistica, nonché eventuali formazioni militari estere insurrezionali, come può accadere, oltre che nell’ipotesi di inquadramento organico del cittadino italiano nelle truppe straniere, anche nel caso di militanza del medesimo al servizio o in favore di formazioni o gruppi militari legittimi o illegittimi stranieri (si pensi, ad esempio, a truppe “ribelli”, bande ausiliarie, compagnie colonizzatrici o anche al caso in cui si compiano in Italia arruolamenti o armamenti allo scopo di portare aiuto ad uno Stato estero o ad altra organizzazione straniera senza entrare a far parte organica delle forze straniere, con o senza azione coordinata e dipendenza da un comando supremo, come nel caso di legioni volontarie italiane comandate da capi propri).

Depone pacificamente nel senso della riferibilità del concetto di “straniero”, quale inteso nel tessuto normativo di cui all’articolo 288 Cp, anche alle formazioni insurrezionali estere il tenore della Relazione ministeriale sul progetto del codice penale dove è dato leggere: «Ho sostituito alla menzione: Stato estero, quella dello straniero, che permette di comprendere anche le ipotesi di arruolamenti che vengano fatti nell’interesse dei così detti pretendenti e d’organizzazioni insurrezionali» (Rel. cit., II, p. 72).

Nel concetto di straniero, quale beneficiario della militanza armata del cittadino, possono, inoltre, essere ricondotti anche gli enti di diritto internazionale, nonché gli altri enti esteri – e, dunque, anche società di capitali, imprese straniere o multinazionali –, laddove detti ultimi soggetti, destinatari della militanza, pur mantenendo formale veste privatistica, presentino evidenti interessenze di carattere pubblicistico od istituzionale, come, ad esempio, nel caso in cui ricevano finanziamenti, pubblici od occulti, da parte di organi istituzionali dello Stato straniero nel cui interesse operano, vedano soggetti istituzionali esteri collocarsi all’interno delle maglie della compagine societaria, mediante forme di cosiddetto “azionariato statale” oppure solo quali soci od azionisti occulti, ovvero nel caso in cui tali enti perseguano evidenti finalità di carattere oggettivamente pubblicistico, operando quali longa manus dello Stato estero. Nelle ipotesi da ultimo descritte, tuttavia, diventa più rigoroso l’accertamento, rimesso al giudice, che dovrà darne conto in motivazione, in relazione alle implicazioni pubblicistico-istituzionali dell’ente monitorato, al suo collegamento funzionale con lo Stato estero ed, in definitiva, alle ragioni per le quali un soggetto straniero di diritto privato possa essere fatto ricadere, quale beneficiario della militanza, all’interno della previsione normativa di cui all’articolo 288 Cp Solo nei casi appena esposti può dirsi leso l’interesse supremo dello Stato italiano a mantenere inalterata la potenzialità della forza numerica della popolazione destinata a scopi militari e violata l’oggettività giuridica tutelata dalla norma.

Devono, invece, collocarsi al di fuori della previsione normativa e del perimetro interpretativo delineabile dal giudice rapporti di carattere strettamente privatistico intercorrenti tra il cittadino italiano, anche se operante in armi – ma non “militante”, nel senso scandito dal paradigma normativo –, e soggetti od enti privati esteri estranei ad implicazioni funzionali di carattere pubblicistico od istituzionale con lo Stato di appartenenza o di riferimento.

Nel caso in esame, dunque, si intende sostenere, da parte della pubblica accusa, la tesi della militanza dei cittadini italiani nell’operare i predetti in armi in favore della coalizione militare angloamericana, agevolata dall’attività di vigilanza svolta in Iraq dai soggetti ingaggiati dallo S. nell’interesse di società di capitali statunitensi. L’esame delle emergenze documentali, tuttavia, pone in evidenza come, sin dall’atto della costituzione del rapporto, i cittadini italiani ingaggiati dallo S. (o con l’intermediazione del predetto, il che non modifica la portata sostanziale degli effetti) fossero consapevoli di svolgere in Iraq attività di vigilanza armata alle dipendenze di società straniere ed in favore dei dipendenti di altra società di capitali statunitense – la cui reale natura si ignora –, nonché come tutti gli operatori italiani coinvolti nella presente vicenda, per alcuni giorni ed in attesa di svolgere il lavoro per il quale erano stati assunti, abbiano prestato servizio di vigilanza in favore dei dipendenti di società straniera all’interno – e solo all’interno – dell’Hotel “Babylon” di Bagdad. Illuminante risulta, al riguardo, proprio la summenzionata dichiarazione di C. P., il quale, nel soffermarsi sul potere riconosciuto agli operatori di sicurezza di fermare e controllare le persone, avvalendosi anche della collaborazione delle Forze armate statunitensi o della Polizia irachena, lungi dal riferire la partecipazione degli operatori di sicurezza italiani a posti di blocco stradali, si limitava a precisare, essendo tale il tenore della specifica domanda della Pg, che la descritta attività veniva svolta solo all’interno dell’albergo e non oltre (domanda della Pg: «Che tipo di attività svolgevate all’interno dell’albergo? Avevate il potere di fermare e controllare le persone?», risposta: «Avevamo il potere di fermare e controllare le persone…questa attività veniva svolta con l’avallo della sicurezza dell’albergo, della Polizia irachena ivi presente e delle stesse forze della coalizione, che autonomamente o su nostra richiesta ci coadiuvavano…»; cfr., in atti, fg. 367). D’altra parte, non può deporre, da sola, in favore della militanza, nel senso scandito dall’articolo 288 Cp, la accertata dotazione di armi da guerra in capo ad alcuni operatori di sicurezza o la disponibilità di automezzi blindati od antimina. Sul punto, si impone una precisazione terminologica di carattere preliminare. Non può dubitarsi sulla circostanza, di carattere strettamente filologico o linguistico, secondo cui il verbo “arruolare” deve essere letteralmente inteso come “inserimento in ruoli” di tipo militare.

Nel caso in esame, si rileva l’esistenza, in capo ai cittadini italiani ingaggiati in territorio nazionale quali operatori di sicurezza da impiegare in Iraq, di un substrato organizzativo di tipo militare quale discendente proprio dal genere di armi fornite in dotazione agli operatori predetti, dalla denominazione suggestiva della squadra di lavoro e dalla rigorosa suddivisione dei ruoli, di tipo operativo – visto che vengono in luce “tiratori scelti” e “conducenti dei mezzi”, ma si registra, altresì, la presenza, secondo l’allegato “A” all’accordo tecnico stipulato il 5.4.2004 tra la “Dts Security Llc” ed i singoli operatori, di un team-leader, cioè di una sorta di “capo-squadra” –, all’interno della medesima formazione.

Tale elemento organizzatorio, tuttavia, onde integrare gli estremi della fattispecie tipica, deve essere posto in relazione all’elemento teleologico che contraddistingue la fattispecie normativa, vale a dire la finalità di militare al servizio o a favore dello straniero. Deve, consequenzialmente, rilevarsi che la dotazione di armi e mezzi in capo agli operatori italiani risulta adeguata a fronteggiare, anche solo per garantire la sicurezza dei soggetti privati scortati, la situazione di pericolo discendente dall’attuale clima bellico di Bagdad, così come la titolarità, da parte di taluni “vigilantes” – che non sono, tuttavia, i soggetti ingaggiati per il tramite dello S., come si evince dagli atti –, di porto d’armi rilasciato dal governo provvisorio militare angloamericano, risulta essere circostanza non decisiva, né univoca, rappresentando la predetta compagine governativa l’unica autorità pubblica operante in Bagdad, in quanto tale legittimata al rilascio di documenti similari. Del pari, anche l’eventuale partecipazione degli operatori italiani alla attività di formazione di guardie irachene addette alla sicurezza dei convogli umanitari, come riferito dal M., oltre ad essere attività prestata da soggetti diversi da quelli ingaggiati dallo S., si connota per la sostanziale natura privatistica del servizio, essendo i beneficiari, secondo le emergenze documentali, non già agenti di Polizia stranieri, ma altri operatori di sicurezza privati di nazionalità irachena, chiamati ad operare in tempo e territorio di guerra o guerriglia. Occorre, quindi, soffermarsi sulle caratteristiche delle due società straniere che sembrano muoversi sullo sfondo dell’intera vicenda e che risultano essere le beneficiarie dei servigi resi dagli operatori di sicurezza ingaggiati in Italia, vale a dire la “Presidium Corporation” e la “Dts Security Llc”, al fine di rinvenire eventuali collegamenti con le Istituzioni o con le autorità militari angloamericane.

Si rileva, quanto alla assunte finalità della “Presidium”, società preposta alla formazione di combattenti specializzati nell’operare in condizioni di alto rischio, come emergente dalla homepage del sito web della società predetta, che dette finalità non paiono ricollegabili alla stipulazione dei contratti per operatori di sicurezza inviati in Iraq, trattandosi di dato evincibile da mera pagina pubblicitaria enunciante finalità eventuali o potenziali della società di capitali con sede nelle isole Seychelles, ma non costituente l’oggetto del contratto stipulato dallo S. e dallo S. con i cittadini italiani, né risultante, ad esempio, da parallele pattuizioni verbali intercorse tra i protagonisti della vicenda.

Non risulta dimostrata, infine, nemmeno per fatti concludenti, la circostanza secondo cui gli italiani contattati dallo S. ed operanti per conto della “Presidium” siano stati assunti per porre in essere, nel corso dei pochi giorni di permanenza in Iraq, alcuna delle condotte – diverse dalla mera sicurezza – pubblicizzate sul sito web della “Presidium”, né che si fossero preparati a farlo.

Gli esiti investigativi, inoltre, non pongono in luce elemento alcuno in relazione alla provenienza, privata o pubblica, dei capitali investiti nella predetta società od alla natura dei suoi azionisti. Si può, pertanto, ragionevolmente concludere, sul punto, nel senso di ritenere, allo stato, la “Presidium” una società che persegue due finalità: quella della sicurezza in aree di rischio e quella della eventuale formazione al combattimento che, a differenza della prima, non risulta riguardare il caso in esame; la “Presidium”, inoltre, non pare perseguire finalità di arruolamento di combattenti. La predetta società “Presidium”, è, dunque, una mera società-ponte, operante in favore della “Dts”, cui fornisce forza-lavoro, vale a dire operatori di sicurezza specializzati “per compiti di protezione ravvicinata in Iraq”, che vengono retribuiti proprio dalla “Dts”.

E ciò per espressa pattuizione emergente sin dal momento genetico del rapporto, come risultante dal contratto stipulato in Italia in data 1.4.2004. Nell’impossibilità di rinvenire negli elementi sin qui delibati finalità agevolatorie dello straniero, nel senso tipico dell’articolo 288 Cp, in capo ai soggetti che hanno ingaggiato gli operatori di sicurezza italiani, rimane da esaminare il ruolo rivestito dalla società “Dts Security Llc” nella presente vicenda. Trattasi della vera zona d’ombra dell’intero incartamento processuale.

Gli atti del procedimento pongono in luce esclusivamente: la sede sociale, sicuramente statunitense, di detta compagine – società con ufficio registrato in 195 Highway 50#104, Suite 165, PO Box 7172 Stateline #165, Lake Tahoe, Nevada (Usa) –; la presenza, meritevole di approfondimenti investigativi, in Iraq di cittadini italiani, vale a dire P. S. e V. C., quali esponenti della “Dts”, secondo quanto dichiarato dalle persone informate sui fatti; la fornitura di armi da guerra, da parte di esponenti della società statunitense, in capo agli operatori ingaggiati in Italia (A., verbale del 6 luglio 2004: «S. e C. avevano ruolo di dirigenza nella ‘Dts’, c’era poi una donna americana, anch’ella socia, che collaborava nel cercare lavori…»; C., verbale del 6 luglio 2004: «Paolo e Valeria facevano parte di una ditta, noi eravamo personale che la ‘Presidium’ prestava a questa ditta indicata con delle sigle…S. mi fornì delle armi, una Cz ed un Mp5, quest’ultimo lo utilizzai solo una notte nel corso del servizio di vigilanza presso l’albergo…»); la generica finalità dichiarata della società statunitense, che risulta “specializzata nella sicurezza” ed attualmente attiva in Iraq mediante operatori, definiti professionisti “nel campo della sicurezza armata” (cfr. copia dell’accordo tecnico intercorrente tra la “Dts” e gli operatori ingaggiati; fg. 89, documenti allegati al verbale di sit assunte da F. D. presso gli uffici della Digos della Questura di Trento il 12 maggio 2004).

Dagli elementi in possesso del Tribunale non emerge, tuttavia, alcun dato né in ordine alle clausole del contratto reale intercorrente tra i singoli operatori e la “Dts”, che rimangono indeterminate, né in ordine alle effettive finalità perseguite da detta società, evincendosi dall’accordo tra operatori e “Presidium” la sola circostanza della richiesta, da parte della “Dts”, di fornitura di personale specializzato per imprecisati compiti di “protezione ravvicinata” in Iraq, né, infine, in relazione alla provenienza dei capitali investiti nella società “Dts” ed alla natura, pubblica, anche occulta, o privata dei suoi azionisti o finanziatori od, almeno, di alcuni di essi.

A fronte di tale evidente lacuna documentale – che appare necessario colmare nel seguito investigativo – deve concludersi che l’attività prestata dai cittadini italiani in Iraq, ed, in particolare, quella prestata dai soggetti risultati in contatto con lo S., è da considerare sostanzialmente, sin dal momento genetico del rapporto, quella di guardie private di sicurezza assunte in Italia, ma destinate ad operare fuori del territorio nazionale nell’interesse di società private straniere e non in favore dello Stato estero, secondo schemi tipicamente privatistici.

Pertanto, ogni collegamento degli operatori di sicurezza italiani con l’autorità militare angloamericana è, allo stato, da ritenere solo eventuale ed occasionale, mentre l’attività prestata in Iraq dai medesimi operatori è da reputare, comunque, estranea al concetto di militanza al servizio o in favore dello straniero innanzi esposto, ossia alla condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice di cui all’articolo 288 Cp.

A conferma dell’assunto basti ricordare le parole di C. P., il quale, nel già citato verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dinanzi alla Pg presso la Questura di Genova il 17 giugno 2004, spiegava chiaramente, illustrando il tipo di collaborazione esistente tra gli operatori di sicurezza italiani e truppe militari statunitensi che «…potevamo, in caso di necessità, richiedere il loro intervento, ma non il contrario».

Analogamente, dichiarava agli inquirenti genovesi M. C., in data 5 luglio 2004, che «…a noi operatori della sicurezza era ed è consentito intervenire solo a protezione di noi stessi, dei beni e delle persone sotto la nostra tutela ed eventualmente a tutela dei civili, non ci è consentito intervenire a favore delle forze della coalizione». Trattasi di circostanza idonea a rimodulare e stemperare significativamente i termini dell’attività degli operatori di sicurezza italiani che, secondo la tesi accusatoria, si vede prestata in favore delle truppe angloamericane.

Non risulta, dunque, dimostrato in alcun modo, e nemmeno per fatti concludenti, l’interesse di organi istituzionali angloamericani ad avvalersi di guardie di sicurezza private per tutelare società, imprese nazionali ed uomini d’affari stanziati od operanti in territorio iracheno, così come non risulta, altresì, emergente dagli atti – pur trattandosi di pista di lavoro investigativo – alcun accordo “tattico” tra operatori di sicurezza, società ingaggianti straniere e Forze armate angloamericane in relazione alla ripartizione dei compiti operativi in territorio iracheno. Non pare, pertanto, di poter ritenere configurabile, nel caso in esame, la fattispecie di reato di cui all’articolo 288 Cp, contestata dalla pubblica accusa nei confronti del ricorrente. Tali determinazioni si impongono allo stato degli atti e fatte salve le diverse determinazioni che l’Ufficio del Pm intendesse adottare agli esiti di successivi sviluppi investigativi.

Va conclusivamente affermato – statuendo sull’istanza di riesame odiernamente delibata – che gli elementi portati alla cognizione del Collegio del riesame, pur evidenziando profili di indubbia rilevanza indiziaria, la cui portata deve, tuttavia, arenarsi dinanzi alla necessità di uno degli accertamenti più rilevanti, vale a dire quello relativo alla effettiva natura della società-ponte “Presidium Corporation” e, soprattutto, della società straniera agevolata, vale a dire la “Dts Security Llc”, non appaiono idonei a fondare, a carico del ricorrente, una piattaforma indiziaria conforme alla soglia di gravità richiesta, per l’adozione di misure cautelari personali, dall’articolo 273 Cpp.

Del resto, non può ignorarsi che la giurisprudenza è attestata nel ritenere che «gravi sono gli indizi consistenti e cioè resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti» (in tal senso Cassazione penale, Sezione prima, 14 marzo 1995, Signori), mentre in altre massime la “gravità indiziaria” è stata parametrata alla possibilità di giustificare sulla base della stessa un giudizio dibattimentale (Cassazione penale, Sezione prima, 19 gennaio 1994, D’Oronzo) ed alla probabilità di colpevolezza che deve essere “alta” (Cassazione penale, Sezione terza, 28 settembre 1995, Sinani), “qualificata” (Cassazione, Su, 21 aprile 1995, Costantino), “ragionevole” (Cassazione penale, Sezione prima, 3 marzo 1993, Marras), “capace di resistere ad interpretazioni alternative” (Cassazione penale, Sezione prima, 26 gennaio 1994, Damiani).

E ciò ferma rimanente la circostanza che, seppure non si richieda l’univocità degli elementi acquisiti, deve tuttavia escludersi che la valenza di detti elementi, ai fini dell’applicazione della misura coercitiva, possa desumersi – su base probabilistica ed in contrasto con i principi della logica formale – da fatti in sé privi di affidabilità (Cassazione penale, Sezione prima, 14 settembre 1995, Prudentino).

Deve, consequenzialmente, disporsi l’annullamento dell’impugnato titolo cautelare per carenza dei gravi indizi di colpevolezza e, per l’effetto, l’immediata revoca della misura coercitiva in atto.

PQM

Visti gli artt. 309, 273 Cpp; in accoglimento dell’istanza di riesame presentata nell’interesse di S. G. P., nato a Udine il 26 maggio 1974, avverso l’ordinanza cautelare emessa in data 1 ottobre 2004 dal Gip del Tribunale di Bari, annulla l’impugnato provvedimento, disponendo, per l’effetto, la revoca della misura in atto.

Manda la propria Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

x

Utilizzando il sito si accettano i Cookies, dal medesimo utilizzati, secondo l'informativa consultabile.

Accetto