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Tribunale Napoli 20/06/2011 integra reato mentire sui requisiti di accesso ai concorsi

TRIBUNALE PENALE DI NAPOLI

G.M. Dr.ssa Bottillo

SENTENZA

(…)

MOTIVAZIONE

Omissis…

Sulla scorta degli elementi di prova sinteticamente richiamati, ritiene il Giudicante provata la penale responsabilità dell’imputata per l’ascritto.

Il reato di cui all’art. 483 c.p. sanziona la condotta del privato che in un atto pubblico attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, nel senso che la legge ricollega effetti specifici probatori all’atto nel quale la dichiarazione del privato è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente.

L’atto deve ritenersi pubblico laddove sia formato dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e contenga l’attestazione di fatti giuridici dei quali è destinato a fornire la prova e sia produttivo di effetti giuridici su situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica.

Presupposto del delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) è l’esistenza,quindi, di una specifica norma giuridica che attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di dichiarare il vero vedi Sezioni Unite: 31.3.1999, n. 6, Lucarotti e 9.3.2000, n. 28, Gabrielli).

Per giurisprudenza consolidata, è punibile ai sensi dell’art.483 c.p. la falsa dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa su fatti destinati ad essere recepiti come veri nella formazione di un atto pubblico di cui alla Legge 4/01/1968 nr.15  (cfr. Cass.pen.sez.V°, 20/12/1996 nr.10877;Sez. 5, Sentenza n. 42291 del 29/11/2006), essendo tale dichiarazione equiparata a quella fatta a pubblico ufficiale (la legge 1968/15 è stata abrogata dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 77).

La nozione di attestazione di fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità contenuta nel precetto penale, postula l’esistenza di disposizioni extrapenali integratrici che concorrano a determinare il contenuto delle dichiarazioni del privato e attribuiscano al pubblico ufficiale il potere-dovere di documentarle in atti aventi, ex lege, una determinata funzione probatoria (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 11186 del 05/05/1998, Cocciolo).

Il delitto di falso “ideologico” richiede, dunque, la immutatio veri, ovverossia l’alterazione o l’occultamento della situazione reale tutelando la norma la pubblica fede e, quindi, la fiducia che la collettività ripone nell’atto pubblico e la garanzia della veridicità dell’atto ed il reato si configura  se una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati, collegando l’efficacia probatoria al dovere del dichiarante di affermare il vero.

E’ pacifico che la valutazione sulla eventuale inidoneità assoluta dell’atto a produrre effetti penalmente rilevanti quanto all’inganno della pubblica fede (reato impossibile) per manifesta riconoscibilità del falso o perchè inidoneo ad incidere sulla genuinità del documento (falso grossolano o innocuo), va effettuata ex ante e non già a posteriori (cfr. Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 38720 del 19/06/2008  Imputato: Rocca:“È innocuo, e quindi non punibile per inidoneità dell’azione, il falso, sia ideologico che materiale, che determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, non modificandone il senso”).

L’attestazione al pubblico ufficiale di circostanze non veritiere in una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio resa al pubblico ufficiale, integra il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico di cui all’art. 483 c.p. anche nel caso in cui quanto dichiarato possa essere altrimenti verificato dal successivo destinatario dell’atto; in tale ipotesi, invero, deve escludersi la configurabilità del falso innocuo, atteso che l’innocuità del falso in atto pubblico non va ritenuta con riferimento all’uso che si intende fare del documento – che non è necessario ad integrare la condotta incriminata, e può altrimenti integrare estremi di reato diverso – ma solo se si esclude l’idoneità dell’atto falso ad ingannare comunque la fede pubblica.

“Sussiste il falso innocuo quando esso si riveli in concreto inidoneo a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l’atto falso si intendevano raggiungere; in tal caso, infatti, la falsità non esplica effetti sulla funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere, che è quella di attestare i dati in esso indicati, con la conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto.  (Sez. 5, Sentenza n. 3564 del 07/11/2007 Imputato: De Mori e altro).

Quanto all’elemento psicologico del reato, è sufficiente il dolo generico, ovverossia la coscienza e volontà della falsificazione della dichiarazione o della falsa attestazione, mentre è irrilevante che il soggetto abbia agito senza l’animus decipiendi o nocendi, senza cioè intenzioni fraudolente o con l’intima persuasione di non produrre alcun nocumento, così come è irrilevante che l’atto falso non abbia in concreto determinato alcun danno. La norma infatti mira a tutelare la veridicità in astratto degli atti stessi a prescindere dalle effettive conseguenze dannose ed indipendentemente da fini di vantaggio o di danno che si propone l’agente, di talchè il delitto è perfezionato anche quando la falsità sia compiuta con la convinzione di non arrecare un danno ovvero senza l’intenzione di conseguire un profitto (Cass. pen. sez. VI 22/03/1995 nr.3052; Cass. pen. sez.V 25/02/1999 nr. 2487; Cass. pen. sez. V 17/02/2004 nr. 6246).

Il dolo del reato di falso non può ritenersi, comunque, in re ipsa ma va rigorosamente provato, dovendo escluderlo ogni qual volta il falso risulti essere dovuto ad una leggerezza o negligenza del soggetto (Cass. pen. sez. V 21/06/2004 nr. 27770; Cass. pen. sez. V 21/02/2000 nr. 1963).

Tanto premesso, ritiene il Giudicante pacificamente dimostrata la responsabilità dell’imputato per l’ascritto.

Ed invero, l’attestazione versata nell’istanza di ammissione al corso di abilitazione all’insegnamento scolastico circa la prestazione del servizio di docenza presso l’istituto scolastico X è certamente suscettiva di produrre effetti giuridici tutt’altro che irrilevanti, costituendo tale dichiarazione proveniente dall’imputata, un requisito indefettibile da valutarsi ai fini dell’accesso al corso speciale per il conseguimento della abilitazione.

La falsità della dichiarazione resa dalla Tizia emerge con palese evidenza dalle indagini effettuate dalla Guardia di Finanza, avendo comunicato l’istituto scolastico di X che la Tizia non aveva affatto prestato la docenza presso tale istituto, in contrasto con le dichiarazioni dalla stessa rese nella istanza.

Non pare possa dunque dubitarsi della sussistenza del reato anche quanto all’elemento soggettivo della consapevolezza ed intenzionalità dolosa della falsa dichiarazione resa dalla Tizia prodromica e funzionale alla ammissione al corso di conseguimento della abilitazione (non si è in presenza, dunque, di un falso innocuo attesa la incidenza della falsa attestazione sulla funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere e tenuto conto delle conseguenze in termini di ammissione al corso).

Non appare, infine, condivisibile l’assunto difensivo in merito alla inefficacia ed inesistenza  dell’autocertificazione ed alla incertezza sulla riconducibilità della dichiarazione falsa alla odierna imputata.

Si premette che la L. n. 15 del 1968 richiedeva che la dichiarazione sostitutiva di certificazione fosse sottoscritta dall’interessato ed autenticata, stabilendo che le dichiarazioni autenticate “sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”.

Nell’ottica della semplificazione amministrativa, vi sono stati diversi interventi legislativi (L. 15 maggio 1997, n. 127 -cd. Bassanini bis- modificata dalla L. 16 giugno 1998, n. 191 -cd. Bassanini ter-), che hanno  eliminato la necessità di autenticazione della firma, sostituita dalla allegazione in una con la dichiarazione, della fotocopia non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.

La materia ha trovato poi sistemazione organica nel D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico in materia di documentazione amministrativa), che ha stabilito la non necessità di autentica di firma per le dichiarazioni sostitutive di certificazione, ribadendo, ai fini penali, che “le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli artt. 46 e 47 … sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”.

In altri termini, le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà non richiedono alcuna autenticazione da parte del pubblico ufficiale quando siano contestuali ad una istanza. In tal caso, l’interessato, giusta il disposto dell’art. 3 comma 11° L. 15 marzo 1997 n. 127 e successive modificazioni, richiamate dall’art. 38 del T.U. emanato con D.Lgs. 28 dicembre 2000 n. 445, deve presentare la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà:

·        unitamente alla copia non autenticata di un documento di riconoscimento (nel caso di invio per posta o per via telematica)

·         firmarla in presenza del dipendente addetto a riceverla (nel caso di presentazione diretta (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 42291 del 29/11/2006; Sez. U, Sentenza n. 35488 del 28/06/2007).

Nel caso di specie, l’attestazione falsa resa dalla Tizia in relazione ad un requisito indispensabile per l’accesso al corso di abilitazione all’insegnamento, è stata ritualmente prodotta a corredo dell’istanza principale e trasmessa all’organo amministrativo di competenza, a nulla rilevando l’assenza della sottoscrizione autenticata.

Del pari, pur non essendo stata allegata fotocopia (non necessariamente autenticata) del documento di identificazione dell’istante (adempimento richiesto dalla normativa vigente), tale omissione non incide in termini essenziali sulla efficacia probante della dichiarazione resa, né sulla esclusione del reato essendo la dichiarazione medesima riconducibile, sulla base di dati oggettivi incontrovertibili, alla odierna imputata.

Si consideri, infatti, che scopo della allegazione del documento di riconoscimento (si badi bene, anche non autenticato) è quello di acquisire certezza sulla paternità e  provenienza della dichiarazione da parte  del soggetto i cui dati anagrafici risultano dal documento allegato.

Nella specie, ritiene il Giudicante che la provenienza della dichiarazione falsa (pur non avendo l’istante ottemperato al dovere di allegazione del documento di riconoscimento) sia comunque incontestabile essendo la dichiarazione incriminata contenuta in una domanda redatta con la compilazione di un modulo prestampato in cui sono riportati tutti i dati identificativi ed il codice fiscale della odierna imputata. De pari, la domanda è stata trasmessa dal luogo di residenza della odierna imputata e le successive verifiche investigative hanno riscontrato la veridicità dei dati anagrafici e di residenza indicati nella domanda e la riconducibilità della dichiarazione alla odierna imputata la quale, oltretutto, ha preferito assentarsi dal processo e non ha contestato la avvenuta presentazione della istanza oggetto dell’odierno procedimento.

Affermata la penale responsabilità, quanto alla pena, possono concedersi le attenuanti generiche tenuto conto della assoluta incensuratezza dell’imputata e della modesta entità del fatto da ritenersi certamente occasionale e del tutto estemporaneo.

Valutati i criteri direttivi offerti dall’art.133 c.p., stimasi equo irrogare la pena di giorni venti di reclusione (pena base mesi uno di reclusione, ridotta ex art.62 bis c.p. alla pena di giorni venti di reclusione).

Segue per legge il pagamento delle spese processuali.

Sussistono, altresì, le condizioni di legge per la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato spedito a richiesta dei privati, potendosi esprimere una prognosi nel complesso favorevole della personalità dell’imputata attesa l’incensuratezza e presumendosi che si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati, trattandosi chiaramente di fatto del tutto occasionale ed episodico.        

P.Q.M.

Letti gli artt.533535 c.p.p. dichiara l’imputata colpevole del reato ascritto in rubrica e, concesse le attenuanti generiche, la condanna alla pena di giorni venti di reclusione, oltre spese processuali.

Pena sospesa e non menzione.

Napoli, 20/06/2011

IL Giudice

Tags: Dir. Penale

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