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Cassazione civile 20611/2017 non opponibilità al possessore dell’atto di disposizione del bene usucapito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina - Presidente -

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -

Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere -

Dott. VARRONE Luca - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27549-2013 proposto da:

M.G., (OMISSIS), M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 5, presso lo studio dell'avvocato LORETA BOCCIA, rappresentati e difesi dall'avvocato NICOLA MARIA MASTROVINCENZO;

- ricorrenti -

contro

MA.PA., MA.SE., m.e., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 1, presso lo studio dell'avvocato MAURO MARCHIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati FELICE RAIMONDI, ENRICO MARINUCCI;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 1178/2012 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 18/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Rilevato che:

Il Tribunale di Vasto rigettava la domanda di usucapione proposta da Ma. nei confronti di M.G., M.G., M.F.I., e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, condannava il Ma. all'immediato rilascio dei terreni ubicati in località (OMISSIS) riportati in catasto alla partita n.(OMISSIS);

Ma. rappresentava di aver esercitato sui terreni oggetto di causa sin dal 1970 un possesso ultraventennale di buona fede, uti dominus, palese e pacifico, riscontrato dal fatto che sugli stessi terreni erano state eseguite nel corso degli anni numerosi interventi come impianto di alberi e altre operazioni;

l'appello proposto dal Ma. avverso la sentenza di primo grado veniva accolto dalla Corte d'appello di L'Aquila che dichiarava l'acquisto per usucapione da parte del Ma. dei terreni oggetto di causa e ordinava alla conservatoria dei registri immobiliari di Chieti la relativa trascrizione e condannava gli appellati al rimborso delle spese processuali.

Secondo la ricostruzione della Corte d'appello M.M. e Ma.Ma. avevano venduto i terreni oggetto di causa a D.N.T., il quale a sua volta li aveva rivenduti all'appellante Ma.;

in tale vicenda si rendeva necessario, secondo i giudici del gravame, verificare se D.N. aveva il potere di trasmettere la continuità del possesso al Ma. o, altrimenti, se sussistesse l'interversione del possesso da parte di quest'ultimo;

la corte d'appello, partendo dall'esame delle comunicazioni avvenute tra le parti, riteneva dimostrato il possesso utile ad usucapire sia dalle missive intercorse tra le parti sia dalle prove testimoniali assunte nel corso di causa;

i giudici del gravame affermavano che la consapevolezza di possedere senza titolo e il compimento di attività negoziale o di altra natura finalizzata ad ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto e la stabilità sul piano formale della situazione giuridica, non esclude che il possesso sia utile ai fini dell'usucapione;

d'altra parte i M., a fronte del dominio pieno ed esclusivo esercitato dal Ma. sul terreno per oltre vent'anni, erano rimasti sostanzialmente inerti, e tale inerzia non poteva ritenersi giuridicamente interrotta per mezzo delle due missive a firma del M. e del suo legale inviate nel 1985 in quanto, per giurisprudenza costante, possono avere efficacia interruttiva solo atti che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa;

secondo la Corte d'Appello il possesso non era interrotto neanche dall'atto pubblico di compravendita concluso nel 1980 dal M. con terzi, in quanto tale atto riguardava la cessione di una piccolissima sezione del terreno a confine con la proprietà degli acquirenti e, quindi, non era una circostanza sintomatica della mancanza di interesse da parte del Ma. al possesso dei terreni;

avverso la suindicata sentenza hanno proposto ricorso, con due motivi, M.G. e M.G.;

m.e. e Ma.Pa. hanno resistito con controricorso, chiedendo l'inammissibilità o il rigetto del ricorso principale;

Considerato che:

Il primo motivo di ricorso attiene alla violazione falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), in particolare degli artt. 1140, 1141, 1146, 1158, 1164, 1350 e 2697 c.c., e insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione all'errata valutazione dell'animus possidendi e della continuità del possesso in capo all'appellante attore ai fini della usucapione, e all'errata valutazione della validità del titolo di acquisto di D.N. per l'inesistenza della forma scritta richiesta ad substantiam;

secondo i ricorrenti la corte d'appello avrebbe errato sia nell'affermare che risultava accertato che loro avevano venduto a D.N.T. i terreni oggetto di causa, così come che questi nel 1970 li avesse a sua volta venduti al Ma.;

inoltre la corte d'appello desume tali circostanze facendo riferimento alla prova testimoniale, mentre, trattandosi di un contratto che richiede la forma scritta, non è ammissibile ai sensi dell'art. 2725 c.c. e art. 2724 c.c., n. 3, utilizzare la prova testimoniale;

di conseguenza il D.N. non poteva trasmettere la continuità del possesso al Ma.;

dalla lettura delle missive avvenute tra Ma. e D.N. risulterebbe inoltre la mera detenzione e non il possesso da parte del primo dei terreni oggetto di causa;

il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

i ricorrenti non colgono la ratio decidendi della Corte d'Appello che afferma di prescindere dalla successione nel possesso del Ma. rispetto a quello precedente presuntivamente esercitato dal D.N. e fa decorrere il possesso utile all'usucapione dal 1970, quando il Ma. entrò materialmente in possesso del bene;

secondo la Corte d'Appello, indipendentemente dalla vicenda negoziale, il Ma. da quel momento esercitò una situazione di fatto corrispondente a quella del proprietario per vent'anni senza interruzioni e con l'animo del proprietario;

rispetto a queste motivazioni le doglianze dei ricorrenti sull'esistenza o meno del contratto di acquisto del Ma. dal suo dante causa D.N. non sono rilevanti, così come il divieto di prova testimoniale che non può certo riguardare la situazione di fatto del possesso, su cui si basa la decisione;

quanto alla prova della detenzione e non del possesso, che risulterebbe dalle missive citate dai ricorrenti, deve ribadirsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la valutazione dei fatti rivelatori del possesso legittimo e della loro idoneità ad usucapionem si sottrae al sindacato di legittimità quando non vi sia violazione di norme di diritto e sia sorretta da motivazione adeguata, esente da vizi logici Sez. 2, n. 1694 del 1970 e Sez. 2, n. 3505 del 1975;

la Corte d'Appello ha congruamente motivato la sua interpretazione delle lettere intercorse tra le parti e tra Ma. e D.N., oggetto di produzione documentale nel corso dell'istruttoria di merito, ritenendo che dalle stesse, unitamente ad altre circostanze, si dovesse desumere in capo al Ma. l'animus possidendi quantomeno dal 1970, sicchè resta preclusa a questa Corte una diversa valutazione del materiale probatorio;

inoltre, il motivo è inammissibile nella parte in cui il ricorrente lamenta l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione alla luce di quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. (Cass. civ., Sez. Un., Sentenze nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014, RRvv. 629830 e 629833; v. anche Cass. civ., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21257 dell'8 ottobre 2014, Rv. 632914). Non è neppure più configurabile il vizio di "contraddittoria motivazione" della sentenza tenuto conto che il nuovo testo della norma sopra richiamata attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13928 del 6 luglio 2015, Rv. 636030, che ha escluso la sopravvivenza del vizio di contraddittoria motivazione anche se fatto valere come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c.);

ai sensi della nuova formulazione dell'art. 360 n.5 cod. proc. civ. - applicabile alle sentenze pubblicate dopo l'11 settembre 2012 e dunque anche alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, pubblicata il 18 ottobre 2012 - il controllo sulla motivazione è dunque possibile solo con riferimento al parametro dell'esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza e/o della contraddittorietà;

il secondo motivo di ricorso attiene a violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), in particolare degli artt. 1158, 1140, 1165, 2943, 2944 e 2697 c.c. e insufficiente illogicità della motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione all'errata valutazione circa la decorrenza del tempo utile ad usucapire e degli atti interruttivi della prescrizione;

i ricorrenti rilevano che secondo il giudice del gravame non avrebbero valore, ai fini dell'efficacia interruttiva del possesso volto all'usucapione, gli atti giudiziari diretti ad ottenere l'interruzione del possesso nei confronti dell'usucapiente, ma solo quelli che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa;

pur essendo questo un orientamento pacifico della giurisprudenza, nel caso di specie, il tenore letterale degli scritti dovrebbe provare che il Ma. aveva riconosciuto di avere la mera detenzione del bene;

a tal proposto i ricorrenti richiamano la giurisprudenza secondo la quale ai sensi dell'art. 1165 c.c., in relazione all'art. 2944 del medesimo codice, il riconoscimento dell'altrui diritto da parte del possessore, quale atto incompatibile con la volontà di godere il bene come proprietario, interrompe il termine utile perchè maturi l'usucapione;

a conferma di ciò vi sarebbe la circostanza che i M. hanno regolarmente disposto dei terreni in oggetto;

il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

i ricorrenti riconoscono che la corrispondenza intercorsa tra loro e il Ma. non è idonea ad interrompere la prescrizione, come afferma pacificamente la giurisprudenza di questa Corte;

secondo un orientamento consolidato di questa Corte, infatti, non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali siccome diretti ad ottenere, "ope iudicis", la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, con la conseguenza che, mentre può legittimamente ritenersi (come nel caso di specie) atto interruttivo del termine della prescrizione acquisitiva la notifica dell'atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna di tutti i beni immobili dei quali si vanti un diritto dominicale (nella specie, perchè assegnati in proprietà esclusiva con sentenza passata in giudicato per effetto di divisione in lotti di un compendio ereditario), atti interruttivi non risultano, per converso, nè la diffida nè la messa in mora, potendosi esercitare il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale (Sez. 2, n. 9845 del 2003);

i ricorrenti ritengono, tuttavia, che dalle suddette missive si possa desumere la mancanza dell'animus possidendi in capo al Ma. e, soprattutto, che dalle stesse emerga il riconoscimento dell'altrui diritto, atto idoneo ad interrompere l'usucapione;

sotto il primo profilo vale quanto detto in ordine al primo motivo, ovvero che la Corte d'Appello ha congruamente motivato la sua interpretazione delle lettere intercorse tra le parti, oltre alle altre prove testimoniali, ritenendo sussistente in capo al Ma. l'animus possidendi, e tale valutazione si sottrae al sindacato di questa Corte;

sotto il secondo profilo, questa Corte ha già affermato con orientamento cui questo collegio intende dare continuità che "ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell'usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare la sentenza impugnata è molto dettagliata nella ricostruzione del contenuto delle due missive dell'Il aprile e del 7 giugno del 1985, dalle quali trae la convinzione che il Ma., in entrambe le lettere, rivendicava di essere il legittimo possessore del terreno;

dunque, risulta evidente come, nella specie, manchi una dichiarazione dalla quale possa desumersi una volontà inequivoca da parte del Ma. di attribuire il diritto di proprietà alla ricorrente in modo da ritenere interrotto il termine utile per il verificarsi dell'usucapione;

deve inoltre ribadirsi che la sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi del possesso utile all'usucapione non può venir meno, neanche a fronte della rivendicazione da parte dei ricorrenti della proprietà del bene;

si è già citata la giurisprudenza secondo la quale "Gli atti di diffida e di messa in mora, come, nella specie, la richiesta per iscritto di rilascio dell'immobile occupato, sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione, ma non anche il termine per usucapire, potendosi esercitare il possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale" Sez. 2 n. 15927 del 2016 (Rv. 640720);

inoltre è pacifico che l'atto negoziale intercorso tra i ricorrenti e terzi, con il quale i primi disponevano del bene oggetto di usucapione non è opponibile al possessore;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, "nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l'intervenuto acquisto della proprietà per usucapione, l'atto di disposizione del diritto dominicale da parte del proprietario in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell'usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, "res inter alios acta", ininfluente sulla prosecuzione dell'esercizio della signoria di fatto sul bene, non impedito materialmente, nè contestato in modo idoneo" Sez. 2, n. 18095 del 2014 Rv. 631780;

per quanto attiene alla violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, vale quanto affermato con riferimento al primo motivo in ordine alla sua inammissibilità dopo la modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134;

in conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 3.200,00 (tremiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge;

dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 30 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2017

Tags: Diritto Civile

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