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Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.
In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo.
Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.
Corte cost. (Ord.), 19/12/2006, n. 437
La questione di costituzionalità dell'art. 2634 c.c., posta con riferimento all'art. 3 Cost. per la mancata inclusione del socio tra i soggetti attivi del reato proprio di infedeltà patrimoniale, è inammissibile sia perché non ne è motivata la rilevanza, potendo il giudice remittente disporre ex art. 409 c.p.p. la formulazione dell'imputazione a carico del socio a titolo di concorso nel reato proprio dell'amministratore, sia perché richiede una non consentita pronuncia additiva "in malam partem" in materia penale.
Cass. pen. Sez. II Sent., 27/03/2008, n. 15879
Le norme incriminatrici dell'infedeltà patrimoniale (art. 2634 cod. civ.) e dell'appropriazione indebita (art. 646 cod. pen.) sono in rapporto di specialità reciproca. L'infedeltà patrimoniale tipizza la necessaria relazione tra un preesistente conflitto di interessi, con i caratteri dell'attualità e dell'obiettiva valutabilità, e le finalità di profitto o altro vantaggio dell'atto di disposizione, finalità che si qualificano in termini di ingiustizia per la proiezione soggettiva del preesistente conflitto. L'appropriazione indebita presenta caratteri di specialità per la natura del bene (denaro o cosa mobile), che solo ne può essere oggetto, e per l'irrilevanza del perseguimento di un semplice vantaggio in luogo del profitto. L'ambito di interferenza tra le due fattispecie è dato dalla comunanza dell'elemento costitutivo della "deminutio patrimonii" e dell'ingiusto profitto, ma esse differiscono per l'assenza nell'appropriazione indebita di un preesistente ed autonomo conflitto di interessi, che invece connota l'infedeltà patrimoniale.
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