Art. 596 cp - Esclusione della prova liberatoria

Il colpevole del delitto previsto dall'articolo precedente (1) non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l'offensore possono, d'accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d'onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale: 1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni; 2) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tutt'ora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; 3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito. Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è per esso condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell'articolo 595, primo comma (2). (1) Comma modificato dall’art. 2, comma 1, lett. g) n. 1 del D.L. 15 gennaio 2016 n. 7. (2) Comma modificato dall’art. 2, comma 1, lett. g) n. 2 del D.L. 15 gennaio 2016 n. 7.

Cassazione Penale, sez. V, sentenza 28 gennaio 2008, n. 4129


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