Dopo la condanna per lesioni colpose di nuovo a processo per omicidio
I PM di Bergamo nel 2016 hanno richiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo a carico di tre medici che per lo stesso episodio furono indagati e rinviati a giudizio per lesioni colpose gravissime. Con l’accusa di non aver svolto con perizia e diligenza le manovre chirurgiche cui era stata sottoposta la donna, nell’ambito di un caso di malasanità, si sono così chiuse le indagini a carico dei tre sanitari, già finiti nel mirino degli inquirenti per lo stesso episodio nel quale una quarantenne sarda è morta dopo dodici anni di coma.
I PM si sono attenuti al concetto noto di malasanità, per il quale i sanitari sono chiamati a rispondere tutte le volte che un paziente sia vittima di un errore medico dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia e da esso dipenda un danno fisico, anche in grado di compromettere irrimediabilmente la salute del paziente. Il Tribunale fa eco agli inquirenti e condanna gli imputati per omicidio colposo, stabilendo che si tratta di fatti ontologicamente diversi.
La nascita del primogenito
A marzo del 2000 nasce il primo figlio di A. e E., di origini sarde lei e lombardo lui. Da diversi anni A. si è trasferita dal cagliaritano per stare vicino al suo amore e insieme hanno messo su famiglia, grazie all’arrivo di un bambino tanto desiderato e cercato. Come avviene spesso dopo il parto, la donna deve essere sottoposta a raschiamento per asportare alcuni residui di placenta. È considerato un intervento di routine perché non comporta grandi rischi per la puerpera e viene effettuato nei primissimi giorni dopo la nascita del bambino in presenza di una certa situazione. A. ha avuto appena il tempo di abbracciare e stringere al seno la sua gioia più grande che incomincia a star male. Ha dolori all’addome e continue perdite di sangue. Si allarma ma i medici degli Ospedali Riuniti di Bergamo che l’hanno aiutata a partorire la tranquillizzano, le dicono che è normale subito dopo aver partorito. Dopo un po' però le sue condizioni si aggravano e non è possibile aspettare oltre, va eseguito subito il raschiamento per eliminare il rimasuglio di placenta che è rimasto nell’utero.
La mancanza di ossigeno è fatale per la ragazza
Una volta in sala operatoria, iniziano le fasi preliminari all’intervento e la donna viene sottoposta a sedazione. Per l’anestesia si utilizza una miscela di ossigeno e protossido d’azoto, tuttavia, a causa di un distacco del tubo, il gas che la donna inala non è miscelato all’ossigeno ma è protossido di azoto allo stato puro. Per 12 lunghissimi minuti il cervello della donna rimane senza ossigeno. Finirà in coma per anossia cerebrale.
Una circostanza fortuita e fatale che si sarebbe potuta evitare se l’apparecchiatura fosse stata dotata di sistema d’allarme e se i medici se ne fossero accorti in tempo per evitare le gravissime conseguenze scatenate da quella lunga inalazione. Sono mesi e anni di pianto e disperazione per il marito, che si trova con un figlio di neonato da accudire.
Stesa in un letto del Centro Don Orione di Bergamo nello stesso reparto con altri pazienti in stato vegetativo, A. viene coccolata dalle infermiere che le parlano chiamandola Principessa e le spazzolano i capelli. Lei reagisce debolmente, sorridendo, chissà in cuor suo se pensa e se sente dolore, come si chiede il responsabile del reparto che l’ha presa a cuore fin dal momento del suo arrivo. A. festeggia a sua insaputa molti compleanni, fino ad arrivare a quello più importante nella vita di una donna, i 40 anni. Poco dopo averli compiuti, A. muore. Il marito, rassegnato alla situazione, si è lasciato alle spalle la mestizia e ha ripreso a vivere con serenità da qualche tempo mentre il figlio si prepara a diventare un adolescente.
Prima la condanna per lesioni poi la prescrizione
Appena A. finisce in coma, il marito sporge denuncia contro l’Ospedale. Sei medici finiscono indagati e tre di loro nel 2004 vengono condannati in primo grado per lesioni colpose gravissime. Presentano appello ma arriva prima il proscioglimento: nel 2010 la prescrizione interrompe il corso della giustizia. Dopo la morte avvenuta nel 2013, i Pubblici Ministeri riaprono il caso con un nuovo capo d’accusa, iscrivendo nel registro degli indagati l’ex primario, l’ex anestesista e l’ingegnere incaricato della manutenzione per omicidio colposo. Il Tribunale, condanna in primo grado, con rito abbreviato, per omicidio colposo l’ex primario di Anestesia e Rianimazione e l’anestesista di allora, mentre per il responsabile delle risorse tecnologiche dell’ospedale è stato disposto il dibattimento.
Ne bis in idem per la difesa
Per la magistratura che segue le indagini del caso, l’anestesista è responsabile di non aver monitorato correttamente la paziente; il primario di anestesia è responsabile di aver permesso di eseguire l’anestesia con un macchinario non in perfetto stato, privo di meccanismi adeguati di sicurezza, mentre l’ingegnere della manutenzione è accusato di non aver effettuato le opportune verifiche.
Secondo i difensori degli imputati, che hanno contestato l’esito delle indagini davanti al Giudice per l’Udienza Preliminare, il procedimento è improcedibile perché integrerebbe il cosiddetto “ne bis in idem”, ovvero il divieto di sottoporre due volte una persona a giudizio per lo stesso reato. Secondo i legali della difesa, l’accusa di omicidio colposo non riguarderebbe un reato indipendente ma rappresenterebbe un aggravamento dell’accusa per il reato di lesioni colpose per la quale c’è già stata una condanna e non sarebbe pertanto possibile processare i tre indagati.
Il Tribunale condanna i medici
Il Tribunale accoglie la ricostruzione dei Pubblici Ministeri e ravvisa, nell’ambito del giudizio con rito abbreviato chiesto da due dei tre imputati, i profili della responsabilità per omicidio colposo, rinviando a giudizio dibattimentale il terzo imputato. Le indagini avrebbero dimostrato che le colpe sono state diverse: la prima è stata quella di non aver correttamente monitorato la donna seguendo i parametri vitali che necessariamente dovevano apparire alterati in assenza di adeguata ossigenazione cerebrale. La seconda, quella di aver eseguito l’anestesia avvalendosi di un macchinario non in perfetto stato, privo di meccanismi adeguati di sicurezza; la terza, quella di aver omesso di effettuare le opportune verifiche per sincerarsi del corretto funzionamento del macchinario.
Se però finché la donna era in coma le posizioni di responsabilità erano compatibili con le lesioni colpose e difatti per questo furono condannati in primo grado, al verificarsi di un nuovo evento, i capi di accusa sono diversi.
Non è stata accolta l’eccezione sollevata durante l’udienza preliminare dai difensori degli imputati, per i quali non si sarebbe dovuto procedere per non incorrere in un inammissibile doppio giudizio per lo stesso fatto, per il quale gli imputati erano stati definitivamente scagionati a causa della maturata prescrizione. Il Tribunale non ha ritenuto la fattispecie un semplice aggravamento dell’evento già sottoposto a passaggio in giudicato, quello di lesioni colpose, ma ha ritenuto l’evento morte come un nuovo e diverso evento.
La Corte costituzionale attenua l’efficacia del ne bis in idem
Nella decisione il GUP si è avvalso della recente pronuncia di illegittimità della sentenza 200/2016 della Corte Costituzionale, per la quale l’art. 649 cod. proc. pen. va dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui secondo il diritto vivente esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. Non può rappresentare un condizionamento per il giudice che esamina il caso, l’esistenza di un concorso formale tra gli elementi del processo concluso con una pronuncia definitiva e quelli del giudizio corrente, come ad esempio la natura del reato, il bene giuridico tutelato, l’evento in senso giuridico, con uno specifico riferimento al caso in cui, dichiarato emblematico per la diversità dei fatti dai quali scaturisce la possibilità di procedere a nuovo giudizio, da un’unica condotta derivi la morte o la lesione dell’integrità fisica non considerata nel precedente giudizio, assumendo i connotati di un nuovo evento in senso storico.
Conseguentemente, nel processo sono entrati fatti diversi e contestati reati diversi, per i quali l’anestesista, l’ex primario e l’ingegnere si sono visti comminare la pena della reclusione.
Un caso di anestesista radiato dall’albo
E’ recente la condanna di un medico anestesista per omicidio colposo ai danni di una giovane mamma, morta subito dopo aver dato alla luce un maschietto a causa della imperizia con la quale il medico rianimatore le ha praticato le manovre di sedazione. A rendere ancora più sconcertante il caso, che si è verificato a Napoli, il fatto che il medico era stato radiato dall’albo nel 2015 eppure si trovava ugualmente in servizio presso la clinica privata dove la ragazza si era ricoverata.
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