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Il reato di maltrattamenti si consuma anche tra conviventi - Cassazione penale 206/2017

definizione di convivenza penalmente rilevante

Episodi di maltrattamenti in famiglia accadono con una certa frequenza e non è possibile tracciare una categoria sociale più soggetta di altre a questo tipo di fenomeni.

Il ceto o l’appartenenza a determinate classi sociali tutt’al più può compromettere una rapida identificazione del nucleo familiare colpito, tendendosi a ritenere che le famiglie meno svantaggiate non abbiano difficoltà tali da esacerbare gli animi a tal punto da compiere maltrattamenti al loro interno.

In realtà, le condotte violente nei confronti dei familiari dipendono unicamente dal fatto che uno dei soggetti è tendenzialmente violento e che chi subisce non ha la forza di reagire. Spesso le dinamiche violente interne alla famiglia rimangono così nascoste agli occhi di amici e conoscenti che quando emerge una realtà fatta di maltrattamenti e abusi, è uno shock anche per i parenti più stretti.

Sicuramente un indizio rivelatore che qualcosa non andava per il verso giusto all’interno di una famiglia tutto sommato all’apparenza normale, è stato il fatto che due donne e un ragazzo, rispettivamente madre e figlia e il figlio disabile di quest’ultima, lasciano la casa di proprietà dove abitano da tempo e vanno a vivere in una baracca.

La madre è anziana, vedova, con seri problemi di salute.

Sua figlia invece gode di buona salute, ma ha un turbolento passato coniugale, si è lasciata alle spalle una vedovanza e un divorzio, e un forte bisogno d’affetto che ne compromette spesso la lucidità di ragionamento.

Il ragazzo che vive con loro, è affetto da un ritardo mentale, è ingenuo e dipende totalmente dalle due donne perché non è in grado di gestire le quotidianità in modo autonomo.

Sono proprietarie di due appartamenti, titolari di pensioni e di vari risparmi investiti in titoli di Stato ma un giorno la donna più giovane incontra il cugino del suo defunto primo marito e se ne innamora al punto da assecondare ogni sua richiesta senza avvedersi degli scopi non proprio romantici delle azioni di costui.

Grazie a una delega firmata dall’anziana, l’uomo ha accesso ai conti correnti delle donne e del ragazzino, prosciugandoli nel giro di qualche mese tra prelievi bancomat, ricarica di carte prepagate e assegni.

Vendute le case e gli arredi, prosciugati i conti, infrante le speranze

L’uomo persuade le donne a vendere gli appartamenti per trovare una casa più grande e andare a vivere tutti insieme.

In realtà, intasca tutto il ricavato e vende anche gli arredi a loro insaputa, provvedendo alle due sventurate, squallide sistemazioni di fortuna. Infine, porta le due donne a vivere in un campo, brullo e spoglio.

Nessuna casa ma solo una vecchia roulotte, una baracca e molti rifiuti. Non ci sono servizi igienici, né acqua corrente, né alberi per riparare le lamiere arroventate dal sole, il cibo scarseggia e il recinto è sempre chiuso a chiave.

Trascorre un periodo di terribili stenti che però non serve ad aprire gli occhi alle donne, che continuano a sperare in un futuro migliore. Un giorno la donna che era innamorata di lui scompare e l’uomo racconta di averla fatta ricoverare.

Stessa sorte tocca all’anziana qualche giorno dopo. I Carabinieri scopriranno poi che l’uomo ha fatto sparire i resti delle due donne, lasciate morire di fame e stenti, e dato alle fiamme tutti i loro oggetti.

Nel frattempo, dilapidava il loro denaro in compagnia della sua amante.

Numerosi reati

In data 15/07/2014 la Corte di Assise di Lucca condanna i due imputati alla reclusione per omicidio volontario, maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona e altri reati a danno delle donne e del disabile.

Con sentenza del 21/01/2016 la Corte di Assise di Appello di Firenze conferma la condanna di primo grado tranne la parte relativa al risarcimento in favore delle parti civili. Presentano ricorso per cassazione i due imputati.

Chiedono la riforma della sentenza di Appello

L’imputato con il primo motivo deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione alle imputazioni di truffa, circonvenzione di incapace e appropriazione indebita; con il secondo motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla certezza della morte delle donne per omicidio, con il terzo motivo manifesta illogicità della motivazione in relazione alla distruzione dei cadaveri ed alla valutazione indiziaria; con il quarto motivo erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dell'omicidio della S.; con il quinto motivo manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova.

Anche la coimputata impugna la sentenza

La coimputata propone otto motivi di ricorso deducendo manifesta illogicità della motivazione in relazione al sequestro di persona ed ai maltrattamenti sulla S.; mancanza di motivazione sulle deduzioni difensive relative ai delitti ex artt. 572 e 605 c.p.; manifesta illogicità della motivazione in relazione alla esclusione dell'assorbimento del delitto ex art. 605 c.p. in quello ex art 572 c.p.; erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza del delitto di omicidio; manifesta illogicità della motivazione in relazione alla certezza della morte della S.; manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta partecipazione alla distruzione del cadavere; manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati di maltrattamenti e sequestro di persona; manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante ex art. 114 c.p.

La Corte di cassazione rigetta i ricorsi

Quanto al ricorso dell’imputato, la Cassazione ritiene che la sentenza di appello contenga correttamente enucleati tutti gli elementi di reato ai danni di tutti e tre i soggetti coinvolti nella vicenda e che pertanto non vi siano vizi di motivazione in tal senso che affliggono la decisione impugnata.

Il ricorrente lamenta la mancata prova della morte delle due donne che avrebbero dovuto essere semplicemente considerate come scomparse, ma la Corte correttamente, anche in relazione al terzo motivo, ha preso in considerazione le testimonianze di chi aveva visto il corpo della donna nella roulotte e quello dell’anziana mentre veniva fatto sparire.

La Corte sottolinea inoltre come in appello correttamente sia stata messa in relazione la morte della donna più giovane con i patimenti fisici e morali mentre il decesso della più anziana era forse dovuto a condizioni generali già compromesse, pur non nascondendo il sospetto che le due donne fossero state soppresse dagli imputati. A seguito di questo procedimento logico, è stata ritenuta corretta l’applicazione dell’art. 572 cp deducendo l’elemento soggettivo del dolo eventuale in luogo della colpa, prospettata invece dal ricorrente.

L’applicabilità del reato di cui all’art. 572 cp

Nel rigettare i motivi di cassazione enunciati dalla difesa della coimputata, la Corte di cassazione fissa una definizione del rapporto di convivenza che serve affinché si possa applicare il reato di maltrattamenti in famiglia. La coimputata, che a tutti gli effetti è risultata badante della donna più anziana in base alle testimonianze escusse, contesta la ricorrenza dell’art. 572 cp non ritenendo sussistenti i presupposti di cura, custodia e coabitazione nei confronti della vittima.

La Corte ha però rilevato la correttezza delle statuizioni espresse in sede di appello. Il rapporto che legava l’imputata alla donna anziana doveva essere inquadrato in quello della assistenza nel tipico ruolo che identifica la badante. Il fatto che costei però in effetti non provvedesse ad occuparsi della igiene, della nutrizione e del benessere psico-fisico dell’anziana come avrebbe dovuto, ma ne trascurasse totalmente i bisogni senza provvedere in alcun modo alla sua cura, non esclude la configurabilità del reato di maltrattamenti.

La parafamiliarità

Il reato infatti può essere integrato non solo da fatti commissivi sistematicamente lesivi della vittima, ma anche da condotte omissive connotate da una deliberata indifferenza e trascuratezza verso i suoi elementari bisogni affettivi ed esistenziali.

E che tra l’anziana vittima e la badante non vi fosse un vincolo di parentela, né di coabitazione continuativa, non è ostativo alla contestazione del reato in quanto viene comunque ad esistenza il presupposto della parafamiliarità, intesa come contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita affiliate, di affidamento e soggezione da parte del soggetto passivo nei confronti della imputata.

La volontà di proseguire la persecuzione

Il disvalore penale del reato è ravvisato nella ripercussione degli atti sulla personalità della vittima, incidendo negativamente sulla dignità della condizione umana. Il dolo è unitario e si concretizza nella volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria con la consapevolezza di persistere in un'attività illecita, posta in essere già altre volte ed è sufficiente che il soggetto passivo non possa superare con immediatezza l'ostacolo alla sua libertà di movimento.

Afferma la Corte che sottoporre i familiari ad atti di vessazione continui cagionando sofferenze, privazioni, umiliazioni, tali da rendere un comportamento abituale, rende manifesta l'esistenza di un programma criminoso animato da una volontà di vessare il soggetto passivo.

Confermate le condanne di appello

La Corte di cassazione pertanto, rilevato che la sentenza impugnata correttamente motiva in ordine alla colpevolezza degli imputati, lasciando emergere la giusta interpretazione delle prove acquisite nelle indagini e in dibattimento, rigetta i ricorsi perché infondati e condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.

Per l’effetto, vengono confermate le condanne dell’imputato alla reclusione per cagionata morte a seguito di maltrattamenti e per omicidio volontario nonché per sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e distruzione di cadaveri; truffa, circonvenzione di incapace, appropriazione indebita; e quelle della coimputata alla reclusione per omicidio, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e distruzione di cadaveri.

La condotta omissiva nel reato di maltrattamenti in famiglia

Cassazione penale del 17 gennaio 2013 n. 127 conferma che il reato di maltrattamenti può dirsi integrato anche da omissioni di deliberata indifferenza verso i bisogni della vittima. Affinché lo stato di abbandono e il conseguente danno alla personalità della vittima siano ascrivibili alla condotta del reo, è necessario che le omissioni siano poste in essere con coscienza e volontà, e che da esse derivi uno stato di sofferenza pisco-fisica della vittima.

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