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Reiterazione delle condotte di stalking

Cassazione penale 33842 2018 Reiterazione delle condotte di stalkingLa Corte di cassazione si è pronunciata sul caso di un uomo che, non avendo mai accettato la fine della relazione sentimentale, inizia a perseguitare l’ex compagna in modo sempre più aggressivo.

Ripetuti atteggiamenti persecutori, appostamenti e percosse, hanno costretto la donna a denunciarlo.

Al termine del giudizio di legittimità, la Corte di cassazione penale (sentenza 33842/2018), ha rigettato il ricorso dell’imputato confermando così la condanna dell’uomo alla reclusione, stabilendo che il delitto di stalking può essere integrato anche da due sole condotte commesse in un breve arco di tempo, non essendo necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale.

Stalking a sfondo sentimentale

Sempre più spesso le cronache riportano casi di violenza, fisica ma anche psicologica, nei confronti delle donne, in special modo a causa di una relazione conclusa male.

Tanto la casistica si è aggravata, anche in termini di modalità delle condotte messe in atto, che il legislatore nel 2009 ha introdotto una norma ad hoc nel Codice penale per punire severamente gli autori di tali delitti.

Non che sia esclusivo appannaggio degli uomini coinvolti sentimentalmente, ben potendo lo stalking verificarsi anche nei luoghi di lavoro o tra condomini, ma di certo è questa la categoria maggiormente riscontrabile nelle statistiche.

Pubblicare foto e altri contenuti intimi sui social media, lasciare che i figli assistano alle violenze, infliggere uno sfregio permanente, perseguitare amici e familiari della vittima. Sono solo alcune delle condotte che hanno determinato una maggiore attenzione degli organismi giudiziari ma anche del settore sociologico, con numeri verdi e consultori in prima linea per arginare la violenza sulle donne.

Aggressione all'ex compagna e ai suoi famigliari

In questo scenario si svolgono fatti avvenuti in Campania, dove fino al luglio 2013 una signora ha dovuto subire angherie di ogni tipo dall’ex compagno. Diverse denunce, e anche diversi processi, fino a quando a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, l’uomo ha messo in atto due atteggiamenti decisamente gravi ed esagerati.

Un giorno si reca dalla donna per convincerla a riprendere la relazione. Ma di fronte ad un uomo che si è già rivelato violento e pericoloso, ella rifiuta. Per punirla, l’uomo si sfoga sulla sua auto danneggiandola.

A distanza di pochi giorni, ancora al culmine della rabbia per il rifiuto, egli decide di sfogare il proprio istinto non più su una cosa, ma su di lei. Si reca quindi dove sa che può trovarla e cerca di convincerla a salire in auto per dialogare. La donna non accetta e l’ex compagno scatena allora tutta la sua violenza. La colpisce con una testata al volto e la trascina a terra afferrandola per i capelli, inveendo e minacciandola di morte.

Non soddisfatto, immediatamente dopo si reca a casa della sorella di lei, minacciando la donna e sua figlia.

Sentenza cd. “doppia conforme”

Il GIP del Tribunale di Napoli in data 15 luglio 2016 ha emesso sentenza all'esito di giudizio abbreviato condannando l’imputato alla pena della reclusione per i reati di cui agli artt. 612-bis, 582 e 585 c.p. in relazione all'art. 576 comma 1, nn. 2, c.p., e art. 61 n. 2, c.p. La Corte d'Appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa dal giudice di prime cure. La Corte di cassazione, con la sentenza del 19 luglio 2018, n. 33842, ha rigettato il ricorso confermando la condanna.

Due motivi di ricorso

L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo due motivi: violazione di legge con riferimento all'art. 192 c.p.p. e art. 612-bis c.p. per essere stato omesso il vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e per non potersi configurare il reato di atti persecutori per mancanza della molteplicità delle condotte necessarie alla sua sussistenza, trattandosi di un unico sostanziale evento. Con il secondo motivo deduce motivazione apparente in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena inflitta, che annulla gli effetti favorevoli che sarebbero dovuti derivare dalla riduzione per il rito.

Manifesta infondatezza del ricorso

Il Collegio dichiara inammissibile il ricorso perché manifestamente infondato.

Rispondendo alle argomentazioni contenute nel primo motivo di ricorso, la Corte di cassazione ribadisce che non può pronunciarsi su una rivalutazione dei risultati degli accertamenti di merito ma, pur non procedendo ad un riesame della vicenda delittuosa, nel rigettare il motivo sottolinea anche la correttezza sul piano logico-motivazionale del ragionamento seguito dal giudice di prime cure.

Giustamente, si sostiene, il Tribunale ha ancorato tale ragionamento alle dichiarazioni della persona offesa, che è risultata attendibile dal confronto con altri elementi di prova esterni quali le ulteriori testimonianze; il referto medico relativo alle lesioni patite dalla vittima; l'arresto in flagranza del ricorrente mentre tentava di entrare in casa della ex-cognata; la parziale ammissione del ricorrente circa l'episodio della testata.

Ciò anche se le dichiarazioni della persona offesa, rinforza la Corte seguendo una linea interpretativa fornita dalle Sezioni Unite con sentenza n. 41461 del 19 luglio 2012, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, senza necessità di riscontro, ai sensi dell'art. 192 comma 3, c.p.p.

I giudici di secondo grado, altrettanto correttamente, hanno condiviso le valutazioni della sentenza di primo grado sul punto nello schema processuale della cd. “doppia sentenza conforme”.

Non è necessario provare la condotta astrattamente idonea

In ordine alla configurabilità del reato di stalking, la Corte d'Appello si è attenuta alle linee guida interpretative dettate dalla Suprema Corte in materia e dunque anche con riguardo a tale capo, il ricorso è stato rigettato perché infondato.

Con esso si contestava la mancata ricorrenza degli eventi alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p. per non essere stata fornita la prova e la mancata reiterazione delle condotte persecutorie.

Tuttavia, in tema di stalking è sufficiente la consumazione di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p. affinché la prova dello stato d'ansia o di paura possa essere dedotta direttamente dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante e a causare l'evento.

Quindi, la vittima non è tenuta a descrivere con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, poiché sono desumibili dal contesto della vicenda, dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente.

Nella vicenda all’esame della Corte, sono state ritenute idonee a configurare gli eventi tipici del reato costituiti dallo stato d'ansia e di paura ingenerato nella vittima e dal timore per l'incolumità propria o di prossimi congiunti, sia le minacce gravi ai danni della persona offesa e dei suoi familiari, che le condotte di danneggiamento e di lesioni.

Reiterazione anche in due episodi ravvicinati

Quanto poi alla impossibilità di configurare la condotta di reato per non sussistere reiterazione criminosa in due soli episodi temporalmente distinti ed avvenuti in periodi ravvicinati, la Corte rileva che entrambi i giudici di merito correttamente si sono attenuti all’orientamento in base al quale per integrare il reato sono sufficienti due sole condotte di minaccia o di molestia, nonché singole condotte reiterate in un arco di tempo molto ristretto, purché connotate dal carattere persecutorio, cioè ripetutamente e insistentemente molesto, minaccioso e lesivo.

L’esame della condotta di specie non lascia dubbi alla Corte nel ravvisare una reiterazione rilevante, tale da far sì che esse siano unificate ed assumano un'autonoma ed unitaria offensività rispetto ai singoli atti, nel senso di provocare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica.

Che poi tra la vittima e il suo persecutore, nello spazio temporale che separa le condotte, si sia ripreso il rapporto sentimentale, a nulla rileva al fine di considerare il venir meno delle ragioni di sussistenza del reato.

Passando all’esame del secondo motivo, la Suprema Corte lo rigetta perché generico e aspecifico, sottolineando come la Corte d'Appello abbia illustrato compiutamente le ragioni poste alla base del diniego di concessione delle attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p.

Il rigetto del secondo motivo travolge anche le argomentazioni relative alla misura della pena, ritenendola commisurata alla condotta e alla personalità del ricorrente, la cui congruità è del resto sottratta al giudizio di legittimità se non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione.

L’ammonimento del Questore

Molte volte le vittime di stalking chiedono tutela solo quando la situazione è degenerata al punto tale che a quello di atti persecutori si accompagnano reati contro la persona molto gravi, come le lesioni personali o l’omicidio.

Ciò in parte dipende dal fatto che la vittima, specie se legata da una relazione sentimentale e se condivide con il persecutore una prole, è restia a denunciare per paura di rovinare socialmente lo stalker ed aspetta così che la situazione migliori fino a quando è troppo tardi.

Per ovviare a tale fenomeno, che le Associazioni in difesa delle vittime cercano di contrastare con campagne di sensibilizzazione, l’articolo 8 del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11, ha introdotto la misura preventiva e dissuasiva dell’ammonimento del Questore.

La persona offesa espone i fatti alla polizia senza sporgere denuncia ma facendo solo un’istanza di ammonimento. Il Questore, eseguita un’indagine sommaria per verificare i fatti, convoca e ammonisce oralmente il soggetto autore della condotta persecutoria invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge. Se si verificano nuovamente episodi molesti, il reato sarà allora perseguito d’ufficio e non più a querela della persona offesa.

Stalking via WhatsApp

Ma è solo quando il persecutore agisce con violenza fisica che si può ravvisare il reato di stalking? Certamente no, ne è conferma la recente sentenza della Cassazione penale n. 61 del 02 gennaio 2019, secondo cui, per destabilizzare l’equilibrio psichico della persona offesa è sufficiente un numero significativo di messaggi WhatsApp dal contenuto minaccioso inviato in poco tempo, al punto da costringerla a modificare le abitudini di vita.

Tags: Dir. Penale