Omicidio Colposo durante caccia al cinghiale | Art. 589 CP
La caccia di gruppo al cinghiale, in quanto attività venatoria con il fucile, è attività pericolosa. Secondo la Cassazione penale, che ha deciso il 25 giugno 2020 con la sentenza n. 19217, il cacciatore ha l'obbligo, al fine di preservare l'incolumità dei terzi e non mettere in pericolo la vita degli altri partecipanti, di accertare che il campo di tiro sia sufficientemente aperto e libero, e non può sparare contro un bersaglio non determinato e coperto da vegetazione, altrimenti incorre nel reato di omicidio colposo.
In caso contrario, l'improvviso spostamento di un altro cacciatore dalla originaria posizione assegnata non sarebbe un fatto imprevedibile in grado di escludere il nesso causale tra la condotta colposa e l'evento lesivo.
Le battute di caccia al cinghiale sono una tradizione
I Monti Ernici si trovano lungo la dorsale subappenninica del basso Lazio. Una selva incontaminata dove regna sovrana la fauna locale, tra tutti il cinghiale. Un po’ perché è tradizione, un po’ perché serve per ridurre il sovraffollamento delle bestie, dannose ai raccolti delle campagne circostanti, periodicamente si organizzano vere e proprie battute di caccia destinate a portare a casa il maggior numero possibile di capi.
Nella primavera 2015 il signor D., un ragazzo alle prime esperienze venatorie di caccia nel bosco, con alcuni amici si è recato in una azienda faunistica-venatoria sui Monti Ernici ed ha preso parte ad una squadra di caccia insieme ad una quindicina di altri uomini, unendosi così ad un gruppo di cacciatori al quale viene assegnato un nome e un capo responsabile che coordina i partecipanti, secondo metodi organizzativi di alto livello, accreditati e regolamentati dalla normativa regionale per evitare spiacevoli incidenti agli umani e inutili sofferenze agli animali. Con sé, ha portato i propri cani, dal fiuto sensibilissimo.
Secondo le istruzioni ricevute, D. e gli altri si sono riuniti al mattino presto nel punto d'incontro prestabilito, dove hanno trovato il capo squadra che assegnava i ruoli e le postazioni a ciascuno dei partecipanti.
Tutti i cacciatori, inevitabilmente, dovevano indossare gli equipaggiamenti di sicurezza tra cui i gilet e i cappellini catarifrangenti.
D.I. non è un cacciatore espertissimo, per questo al suo fianco si trova un accompagnatore più esperto, che lo conduce fino alla postazione prestabilita, appena fuori dalla azienda, per poi allontanarsi a circa 900 metri di distanza più in alto.
Contemporaneamente, altri due membri della squadra di caccia, tra cui il signor P., vengono accompagnati alle loro postazioni a bordo di una jeep. Per raggiungerle infatti è necessario salire fino alla vetta della montagna e dal punto in cui vengono lasciati fino alla postazione bisogna camminare a piedi un bel po’. Ma lassù è troppo freddo, non si avvistano cinghiali e i due cacciatori si sentono lontani e isolati dal resto del gruppo. Per questo dopo due ore di attesa vana, decidono di scendere più in basso e scegliere un’altra postazione di caccia all’interno dell’azienda.
Il percorso fino a valle è lungo a piedi, per fortuna bisogna passare all’interno di un bosco fitto di vegetazione, dove non è raro che ad attraversare il sentiero sia proprio un bel cinghiale. Improvvisamente i due sentono avvicinarsi una muta di cani e immediatamente prefigurano il cinghiale che corre all’impazzata verso di loro per sfuggire alla muta rabbiosa che, addestrata, lo spinge in direzione dei cacciatori. P. realizza che effettivamente è proprio come immaginava e, spostatosi a circa 50 metri dal compagno, prende posizione ed esplode un colpo di fucile.
Il colpo esploso senza prima controllare la presenza di altri cacciatori
Tuttavia, imprudenza fatale, non ha pensato di controllare prima se fossero presenti altri cacciatori oltre ai cani, ed il colpo ha raggiunto uno dei suoi compagni provocando un urlo di dolore. È proprio l’inesperto signor D. a lamentarsi per il terribile dolore, ma la ferita è troppo grave; dopo dieci minuti di terribile agonia, egli spira riverso a terra. Un proiettile era penetrato nel gluteo destro e dopo aver frantumato le ossa del bacino, usciva dall’addome pochi centimetri sotto all’ombelico.
Accorrono subito i Carabinieri del locale comando e constatano che la vittima si trova a circa settanta metri dal cacciatore che lo ha ucciso, uno di fronte all’altro sullo stesso piano, ma separati da una presenza di arbusti. Inoltre, erano tutti e due lontani dalle rispettive postazioni assegnate, D. per circa 150 metri, mentre P. decisamente molto di più visto che era sceso a piedi dalla cima della montagna.
Omicidio colposo nei tre i gradi di giudizio
Con sentenza del 30 giugno 2015 il Tribunale di Cassino dichiarava P. responsabile del reato di omicidio colposo di cui all'art. 589 c.p. e lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi due di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.
Con sentenza del 4 luglio 2017 la Corte d'appello di Roma ha concesso il beneficio della non menzione al P. confermando nel resto la pronuncia di primo grado per omicidio colposo.
La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione e rigetta il ricorso ai fini civili.
La difesa dell’imputato chiede l’annullamento della condanna
La pubblica accusa imputa a P. una condotta colposa consistita in imprudenza ed inosservanza delle norme sulla modalità di esercizio della caccia e conclusasi con la morte di D. Le parti civili si sono costituite per la richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalla morte del loro congiunto.
La difesa di P. ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza per inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione all'art. 178 c.p.p. per non aver ricevuto la notifica del verbale di escussione di alcuni testi del Pubblico Ministero; con il secondo motivo lamenta il vizio motivazionale in ordine alla ricostruzione del fatto per non aver preso in considerazione che la vittima si trovava in uno spazio nel quale non era autorizzata ad accedervi e che P. non aveva sparato ad altezza d'uomo; con il terzo motivo deduce il vizio motivazionale in relazione al diniego della concessione delle attenuanti generiche.
La c.d. “doppia conforme”
La Corte parte dalle conclusioni del consulente di ufficio di primo grado, che ha chiarito che il giovane era stato ucciso da un proiettile esploso entro una distanza di 150- 200 metri con una traiettoria diretta dal basso verso l'alto.
Rilevato che il ricorso non presenta profili di inammissibilità, si pronuncia subito statuendo ai sensi dell'art. 129 comma 1, c.p.p. l'intervenuta causa estintiva del reato essendo spirato il termine di prescrizione massimo.
Tanto chiarito, la pronuncia di avvenuta prescrizione va coordinata con la condanna in favore della parte civile costituita ai sensi dell'art. 578 c.p.p. cosicché si deve procedere, pur in presenza della causa estintiva, ad un esame approfondito dei motivi di doglianza rilevanti ai fini della responsabilità civile.
Quanto al primo motivo, dalla disamina degli atti processuali di primo grado, nei quali si riporta la presenza del difensore e la contumacia dell’imputato, la Corte ritiene l'eccezione processuale tardiva perché formulata dall’imputato solo con l'atto di appello e dal responsabile civile nei motivi aggiunti al gravame: l'omesso avviso del rinvio dell'udienza all'imputato non comparso che non abbia allegato alcun legittimo impedimento e che non sia stato dichiarato contumace comporta infatti una nullità di ordine generale che deve essere eccepita dal difensore nella prima occasione utile ai sensi dell'art. 182 comma 2, c.p.p..
Quanto al secondo motivo, rilevata la cosiddetta doppia conforme, che si ha quando sentenza di primo grado e di appello si sovrappongono nelle statuizioni in ordine alla affermazione di responsabilità, alla Corte di cassazione restano precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Tuttavia, può limitarsi a statuire che la sentenza impugnata ha correttamente esaminato il materiale probatorio ed ha compiuto una ricostruzione degli eventi immune da vizi logico - giuridici.
Attività pericolose permesse dal diritto: richiesta una particolare cautela
Correttamente si è evidenziato che anche azioni permesse dal diritto possono essere di per sé pericolose e che in tali ipotesi una colpa dell'agente è ravvisabile in relazione a quei danni rappresentabili e prevenibili mediante l'adozione di particolari cautele o con l'astensione da un certo tipo di condotte.
Poiché la caccia con fucile costituisce attività pericolosa, il cacciatore è obbligato ad accertare, con riferimento alle peculiarità del luogo e alle concrete modalità di svolgimento della battuta, anche in base a regole prudenziali dettate dalla comune esperienza, di avere sufficiente libertà e sicurezza del campo di tiro.
Ciò è necessario affinché non si metta a rischio l’incolumità di altre persone che potrebbero trovarsi lungo la traiettoria del proiettile, destinate altrimenti ad essere raggiunte da colpi di fucile sparati "alla cieca", quand’anche verso il basso, contro un bersaglio non determinato e coperto da vegetazione che impedisce di avere una completa visibilità della zona.
Nello specifico, trattandosi di attività venatoria di gruppo, non costituisce fatto imprevedibile l'improvviso spostamento di un altro cacciatore dalla originaria posizione al medesimo assegnata.
La presenza del cacciatore fuori postazione non è una scriminante
In applicazione di tali principi, dunque, va escluso che la presenza di un compagno di caccia fuori dal posto originariamente assegnato – comunque all’interno della azienda faunistico venatoria che ospitava la battuta di caccia al cinghiale – anche se non autorizzato o non facente parte della squadra che doveva trovarsi in quella specifica posizione, possa sollevare il cacciatore dall’obbligo di accertarsi prima di sparare, che non vi siano nei dintorni persone potenzialmente raggiungibili dall'esplosione di un colpo di fucile.
Le statuizioni agli effetti civili in caso di prescrizione del reato
A seguito dell’annullamento della condanna per avvenuta prescrizione, la Corte di cassazione che pure ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato per omicidio colposo, ha rigettato il ricorso proposto dall’imputato ai soli effetti civili, vale a dire che in sede civile le parti costituitesi potranno far valere la colpevolezza dell’imputato e ottenere ristoro.
Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Appello di Lecce il 6 novembre 2020 ha sottoposto la questione alla Corte costituzionale, che ancora non si è pronunciata, per rilevare la questione della violazione della presunzione di innocenza di cui all’art. 6 comma 2 CEDU e art. 117 Cost. perché imporrebbe all’imputato le conseguenze di una condanna pur essendo stato prosciolto in sede penale.
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