Danno da fumo di sigarette e responsabilità del produttore
Con una recente ordinanza del 29 aprile 2025, la Corte di Cassazione – Terza sezione civile – ha affrontato un caso di straordinaria rilevanza sociale e giuridica: la morte di un uomo, Giorgio, a seguito di un carcinoma polmonare sviluppatosi dopo decenni di consumo quotidiano di sigarette.
I figli, Valentina e Gianluigi, hanno convenuto in giudizio la British American Tobacco (BAT Italia s.p.a.) e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, chiedendo il risarcimento dei danni.
Il cuore della controversia riguarda il nesso causale tra il consumo di tabacco e l’insorgenza della malattia mortale, nonché il ruolo della condotta del fumatore in rapporto alla responsabilità del produttore.
La decisione della Suprema Corte, densa di richiami giurisprudenziali e principi sistematici, offre spunti preziosi in tema di attività pericolosa, concorso di colpa e assuefazione da nicotina.
Giorgio aveva iniziato a fumare nel 1968, all’età di soli 15 anni, consumando in media due pacchetti di Marlboro al giorno fino al decesso, avvenuto nel 2013. I figli hanno agito ex artt. 2043 e 2050 c.c., chiedendo il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Il Tribunale aveva rigettato le domande, ritenendo assorbente la libera scelta del fumatore, consapevole da decenni della nocività del fumo. La Corte d’Appello, nel 2021, aveva confermato tale impostazione, richiamando la "notoria dannosità del fumo" sin dagli anni Sessanta, concludendo per l’interruzione del nesso causale.
Gli eredi hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando l’erroneità della valutazione: non si sarebbe tenuto conto né della dipendenza da nicotina, né della mancanza di informazione specifica sul rischio cancerogeno negli anni in cui il padre aveva iniziato a fumare.
Nesso causale ed esperienza comune
La Cassazione ha ricordato che il nesso causale è elemento costitutivo dell’illecito. La sua ricostruzione si fonda non solo sulla teoria della conditio sine qua non, ma anche sulla causalità adeguata, che seleziona tra gli antecedenti quelli idonei, secondo regolarità statistica o esperienza comune, a provocare l’evento dannoso.
Due i criteri probatori richiamati: quello della probabilità prevalente e quello del “più probabile che non”. Ciò implica che, in sede civile, non si richiede la certezza assoluta (come nel penale, “oltre ogni ragionevole dubbio”), bensì la dimostrazione che, con ragionevole probabilità, l’evento non si sarebbe verificato senza quella determinata condotta.
Attività pericolosa e responsabilità oggettiva
La Corte ha ribadito che la produzione e commercializzazione di sigarette integra un’attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c.. Non si tratta di un prodotto "difettoso" in senso classico, ma di un bene intrinsecamente lesivo, la cui pericolosità è stata “reificata” dal legislatore attraverso una lunga serie di norme restrittive.
Già dal D.M. del 1924 i tabacchi erano inseriti tra le industrie insalubri, fino alle più recenti direttive europee che impongono avvertenze grafiche sui pacchetti ?. La Cassazione ha chiarito che l’attività rimane pericolosa anche nella fase del consumo tipico, rendendo il produttore tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire il danno, comprese quelle informative.
La condotta del fumatore: scelta libera o dipendenza? ⚖️
Un punto cruciale della decisione riguarda la valutazione della condotta del danneggiato.
La Corte d’Appello aveva dato per scontata la “consapevolezza sociale” del rischio, ritenendo che Giorgio avesse liberamente scelto di fumare. Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato che tale impostazione trascura due aspetti:
La specificità del rischio cancerogeno: negli anni Sessanta non era affatto socialmente noto che il fumo causasse tumori. La consapevolezza collettiva si consolidò solo negli anni Novanta, quando comparvero gli avvisi obbligatori sui pacchetti.
L’assuefazione alla nicotina: la dipendenza, scientificamente riconosciuta, limita la libertà di scelta del consumatore. Non si può dunque parlare di autodeterminazione piena del fumatore, essendo la sua condotta condizionata da un meccanismo biologico di dipendenza.
In altri termini, la condotta del danneggiato non può essere considerata “eccezionale, imprevedibile e autonoma” al punto da interrompere il nesso causale.
Informazione, pubblicità e asimmetria conoscitiva ?
Un aspetto curioso e rilevante riguarda il ruolo della pubblicità e della asimmetria informativa.
Negli anni in cui Giorgio iniziò a fumare, le campagne pubblicitarie delle multinazionali del tabacco esaltavano il gesto del fumare come sinonimo di virilità, emancipazione o fascino cinematografico ?. Solo decenni più tardi lo Stato impose limitazioni alla pubblicità (legge n. 165/1962) e successivamente veri e propri divieti.
La Corte ha osservato che, almeno fino al 1990, non vi fu una reale e capillare informazione sui rischi specifici del fumo. Pertanto, non si può ritenere che Giorgio abbia scelto consapevolmente di esporsi al rischio di tumore polmonare.
Il concorso di colpa ex art. 1227 c.c.
La questione del concorso del danneggiato è stata esaminata alla luce dell’art. 1227 c.c., applicabile anche in ambito di responsabilità oggettiva.
La Cassazione ha chiarito che il comportamento del fumatore può assumere rilievo causale concorrente, ma non esclusivo. Solo laddove la vittima fosse stata informata e consapevole del rischio specifico, e avesse nondimeno scelto di fumare, si sarebbe potuto configurare un concorso di colpa. Nel caso in esame, tale presupposto mancava.
Il rischio da sviluppo e l’onere di aggiornamento del produttore
Un passaggio particolarmente interessante della sentenza riguarda il rischio da sviluppo. La Corte ha precisato che, anche quando la scienza non abbia ancora accertato con certezza i danni, il produttore è tenuto ad aggiornarsi costantemente e ad adottare misure preventive e informative adeguate.
Questo principio si traduce in un onere di diligenza qualificata: il produttore non può limitarsi ad applicare le norme vigenti, ma deve spingersi oltre, adottando cautele proporzionate alla pericolosità del prodotto.
La decisione finale
La Suprema Corte ha accolto i primi tre motivi di ricorso, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando per un nuovo esame.
In sintesi, la Cassazione ha riconosciuto che:
il fumo di tabacco è un’attività pericolosa ex art. 2050 c.c.;
la condotta del fumatore, specie in presenza di dipendenza da nicotina e asimmetria informativa, non è idonea a interrompere il nesso causale;
il produttore ha un dovere rafforzato di informazione e prevenzione, anche oltre gli obblighi normativi vigenti.