I capi della sentenza oggettivamente cumulativa sono autonomi tra loro
Pronunciandosi sulla possibilità di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione in ordine ad un ricorso avverso capi distinti di una sentenza oggettivamente cumulativa, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6903 del 14 febbraio 2017 hanno annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Genova, che confermava la condanna di primo grado nei confronti dell’imputato ritenuto colpevole di due distinti reati di falsa testimonianza,
limitatamente al reato di cui al capo B estinto per prescrizione prima della sentenza di appello, e dichiarato inammissibile il ricorso relativamente al reato di cui al capo A. Per l’effetto, la pena viene rideterminata eliminando l’aumento previsto per la continuazione e confermando le statuizioni civili.
Collaborazione tra aziende al porto di Genova
Ci sono due aziende che operano nel contesto dell’ambiente marittimo di Genova.
Una è attiva nel settore della installazione di impianti e apparecchi per le telecomunicazioni mentre l’altra si occupa di ricerca e ottimizzazione dei corpi galleggianti in generale.
La prima ditta fornisce regolarmente servizi e prestazioni alla seconda: che siano innovative strumentazioni da inserire nelle plance dei comandi di imbarcazioni turistiche o sofisticati dispositivi per la gestione remota di macchinari, è comunque necessario l’intervento di un tecnico specializzato.
Il mancato pagamento della fornitura
Anche per il tecnico specializzato chiamato ad intervenire si presenta una necessità.
Quella di essere pagato per i servizi che ha effettuato. Il titolare della ditta di telecomunicazioni è infatti in difficoltà perché non riesce ad ottenere la liquidazione di una fattura emessa qualche tempo prima per alcune prestazioni.
Aspetta ancora per sollecitare la contabilità della seconda ditta, pensando che sia solo questione di giorni.
Quando però si accorge che il tempo passa e nulla accade, decide di rivolgersi ad una persona di sua fiducia.
Un dipendente della ditta offre il proprio aiuto per sbloccare il pagamento
Si tratta di un dipendente della seconda ditta, quella che svolge ricerca in materia di navigazione, un tipo con il quale non si può certo dire abbia rapporti di amicizia quanto piuttosto di buona conoscenza.
Lo ritiene affidabile, in una occasione si è addirittura proposto per dare una mano durante il trasloco e le cose sono andate bene.
Costui promette di poterlo aiutare, si informerà presso gli uffici che si occupano di contabilità per accertarsi che tutto sia pronto per il pagamento.
Tuttavia, il titolare della ditta di servizi non tarda ad accorgersi che il responsabile del ritardo nel pagamento che gli spetta è proprio il suo referente, il dipendente fidato della grande ditta di fluidodinamica che ha sede vicino al porto di Genova, colui che lo aveva aiutato nel trasloco.
Per sbloccare il pagamento della fattura una richiesta di oltre mille euro
Questi, invece di aiutarlo ad accelerare i tempi del pagamento, gli propone uno scambio a dir poco iniquo. Se vuole che la fattura venga liquidata in tempi brevi e soprattutto se ha intenzione di mantenere rapporti commerciali con la ditta, dovrà versargli una “tangente” di milleduecento euro. Il titolare della piccola ditta di impiantistica superato lo choc iniziale decide di assecondare la proposta, del resto ha bisogno di incassare la somma e se questo è l’unico modo per ottenere i soldi, accetterà.
La polizia organizza l’arresto in flagranza
In realtà appena si conclude l’incontro corre dalla polizia e racconta tutti i fatti. La polizia architetta un piano per incastrare l’imbroglione ma ha bisogno della complicità della vittima: dovrà recarsi all’incontro con i soldi pronti e nel momento in cui li consegnerà nelle mani del ricattatore, gli agenti usciranno fuori all’improvviso cogliendolo con le mani nel sacco.
E così vanno le cose: appena il dipendente afferra la busta con i soldi, i poliziotti si manifestano e lo ammanettano, in flagranza di reato.
Un’altra versione dei fatti: non tangente ma ricompensa per il lavoro extra
Arrendersi non rientra però nei piani del dipendente della seconda ditta, che tenta di giustificarsi dicendo che il denaro tenuto in mano era la giusta ricompensa per il lavoro svolto in favore del titolare della piccola ditta, una volta terminato il turno presso quella grande, la seconda.
La sua versione dei fatti è giudicata attendibile e nel secondo grado di giudizio i magistrati lo assolvono mettendo la parola fine alla sua disavventura giudiziaria.
La vicenda gli è costata il posto di lavoro
Il datore di lavoro non la pensa però allo stesso modo e invece di premiare la sua innocenza con una festa nei locali dell’azienda, gli dà il benservito e lo licenzia. Ma la vendetta è un piatto che si consuma freddo e non dovrà aspettare molto tempo prima di vedere seduto sul banco degli imputati proprio lui, il suo accusatore.
Lo sviluppo delle fasi processuali: dal Tribunale di Genova alle Sezioni Unite
Il Tribunale di Genova con sentenza del 9 ottobre 2014 dichiara l’imputato colpevole di due distinti reati di falsa testimonianza. La Corte di Appello riforma la sentenza solo parzialmente confermando le altre statuizioni. La Sesta Sezione Penale con ordinanza del febbraio 2016 rimette il ricorso alle Sezioni Unite che formulano principio di diritto e annullano senza rinvio la sentenza di appello.
Due motivi di ricorso su altrettanti capi di imputazione per l’imputato
Il ricorrente propone impugnazione con due motivi. Il primo, ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per violazione degli artt. 192 e 530 cod. proc. pen. e vizio della motivazione nella parte in cui è stata rilevata la falsità delle dichiarazioni testimoniali rese dall'imputato. Il secondo motivo, ai sensi degli artt. 157 e 159, primo comma, n. 3, cod. pen., in relazione alla mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione di entrambi i reati di falsa testimonianza.
Le richieste dei resistenti
Il Pubblico Ministero chiede che il ricorso proposto dall’imputato venga dichiarato inammissibile quanto ad un reato e che la sentenza venga invece annullata senza rinvio in ordine all’altro reato in quanto estinto per intervenuta prescrizione. La parte civile chiede parimenti il rigetto del ricorso.
Come si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione
La Sesta Sezione penale, investita dell’impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova nella parte in cui conferma la condanna irrogata in primo grado, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
Mentre il primo motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile dalla sezione rimettente per la sua genericità e per richiedere un indebito riesame nel merito della questione, il secondo motivo richiede la risoluzione di una questione di diritto dibattuta in giurisprudenza.
La questione dibattuta: se i diversi capi della sentenza possano considerarsi un unicum
La premessa è che, durante il processo penale, la difesa dell’imputato ha richiesto due rinvii. Il primo, dovuto a legittimo impedimento dell’imputato, aveva comportato la sospensione della prescrizione per i sette giorni di malattia oltre ad ulteriori sessanta per effetto del primo comma dell’art. 159 cod. pen.; il secondo, per adesione all’astensione dalle udienze del difensore, aveva comportato una sospensione della prescrizione di circa otto mesi.
Il reato di cui al capo B – falsa testimonianza resa nel processo per estorsione in cui l’attuale imputato era parte offesa – doveva ritenersi estinto per il decorso del termine di prescrizione maturato prima della sentenza di appello e al contrario, il reato di cui al capo A, – falsa testimonianza resa nel giudizio civile per l’impugnazione del licenziamento – alla data di emissione della sentenza di appello doveva ritenersi ancora sussistente.
Il contrasto giurisprudenziale
La Sesta Sezione penale, rilevato che il ricorso contiene un motivo di impugnazione parzialmente fondato ed uno manifestamente infondato per due imputazioni diverse e autonome tra loro, evidenzia un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di rilevare la prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello per il reato in relazione al quale il ricorso avverso sentenza oggettivamente cumulativa sia da considerarsi inammissibile, anche se i motivi di ricorso per gli altri capi di imputazione siano ammissibili.
Confermata la inammissibilità del primo motivo di ricorso, la Cassazione SSUU afferma la parziale fondatezza del secondo motivo sulla mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione di entrambi i reati, considerato che essa è da ritenersi maturata antecedentemente alla sentenza di appello solo per il reato di cui al capo B.
Le Sezioni Unite ritengono principio giurisprudenziale condiviso l’impossibilità di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la sentenza di appello se il ricorso per cassazione è inammissibile (citando, ex plurimis, la sentenza n. 12602/2016 del 17.12.2015). Tuttavia, evidenziando come la sentenza in esame riguardi due distinti reati e come il ricorso per cassazione contenga diversi motivi aventi tutti ad oggetto entrambi i reati, fanno riferimento all’orientamento giurisprudenziale prevalente che, in caso di sentenza oggettivamente cumulativa, ritiene l'azione penale autonoma e plurimi i rapporti di impugnazione relativi ai diversi reati.
Autonomia dei rapporti processuali: la prescrizione può essere pronunciata con riferimento ad un solo capo della sentenza
Ritengono le Sezioni Unite, che la soluzione della questione debba essere riferita alla autonomia dei rapporti processuali di impugnazione avverso una sentenza cumulativa, come già affrontato nella sentenza SSUU n. 373 del 16.01.1990 dove si riconosce l’autonomia dei capi della sentenza che non hanno una connessione essenziale con le parti della sentenza annullate, distinguendo tra capo della sentenza (“ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato”) e punto della decisione cui fa espresso riferimento l'art. 597, comma 1, cod. proc. pen. (“tutte le statuizioni - ma non le relative argomentazioni svolte a sostegno - suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo”).
Ciò comporta che se i diversi capi sono affrontati in una unica sentenza, ognuno di essi conserva la propria individualità e le cause estintive del reato sono applicabili “indipendentemente dai limiti devolutivi dell'impugnazione”, in ossequio principalmente all’art. 581, comma 1, lett. a), cod proc. pen., che prevede a pena di inammissibilità che nell'atto di impugnazione siano enunciati i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione.
Se i capi sono autonomi gli effetti dell’inammissibilità non si estendono
Il contrasto giurisprudenziale risolto recentemente dalle Sezioni Unite era alimentato da due distinti orientamenti, uno maggioritario e nettamente propendente per la autonomia e scindibilità dei capi di imputazione e, quindi, dei relativi motivi di impugnazione, l’altro minoritario a favore della unitarietà del ricorso. Aderire a quest’ultimo orientamento comporta che se il ricorso si rivela ammissibile o inammissibile solo in relazione ad uno dei reati, lo stesso effetto si propaga agli altri capi di imputazione.
Secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, invece, nel ricorso avverso una sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, si mantiene l’autonomia dei singoli capi di imputazione e se il ricorso è inammissibile relativamente ad uno di essi, questi non potranno beneficiare della ammissibilità del ricorso relativamente agli altri reati.
I riferimenti normativi
Oltre al citato articolo 581 comma 1 lett. a) c.p.p., nell’individuare fonti normative della autonomia dei rapporti processuali dei singoli capi di imputazione, la Corte di Cassazione cita anche l’art. 335 cpp che prevede l’iscrizione nel registro di ogni notizia di reato, l’art. 533 cpp che prevede di stabilire la pena per ciascuno dei singoli reati ai quali l’imputato sia condannato e l’art. 624 cpp che stabilisce l’irrevocabilità delle parti di sentenza non in connessione con la parte non investita dell’annullamento parziale da parte della Corte di Cassazione.
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