Scavi Clandestini a Pompei
Sentenza di appello riguardante gli illeciti scavi presso il sito di Pompei.
All'udienza tenuta in data 31 gennaio 2024, la Corte di Appello di Napoli - IV Sezione Penale, composta dai signori Magistrati:
dott.ssa Luisa Toscano - Presidente
dott. Nicola Russo - Consigliere
dott.ssa Federica De Maio - Consigliere est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nell'ambito del processo instaurato a carico di:
1. I.G., nato a T. A. il (...), deceduto;
2. I.R., nato a C. di S. il (...), libero assente;
entrambi difesi di fiducia dagli Avv.ti .....;
IMPUTATI
1. Dei reati p. e p. dagli artt. 81 cpv., 110, 635, comma II n. 3, 733 c.p. e 175 del D.Lgs. n. 42 del 2004 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso e previo accordo tra loro e con altre persone rimaste ignote, senza la prescritta concessione (di cui agli artt. 88 e 89 del citato d.lgs.) eseguivano ricerche archeologiche in P. - loc. C. G. - danneggiando siti di interesse storico - artistico - archeologico ed in particolare diversi ambienti della "Villa Imperiali" (ambienti A, B, C, D ed E della relazione del parco archeologico di Pompei); in particolare, attraverso una rete di cunicoli scavati clandestinamente, sfondavano la parete degli ambienti antichi, asportando il materiale di interesse storico, artistico ed archeologico ivi rinvenuto.
Con la recidiva reiterata e specifica per I.G..
In Pompei dal 2014 fino all'agosto 2017
2. dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso e previo accordo tra loro e con altre persone rimaste ignote, si impossessavano, all'esito dell'azione di cui al capo precedente, di reperti archeologici di epoca romana rinvenuti nel corso degli scavi clandestini e non meglio precisati perché non caduti in sequestro, nonché di intere pareti affrescate, di cui rimanevano in loco solo parziali frammenti, nonché di intere decorazioni pavimentali (vds. Pag. 21/25 nella relazione della consulenza tecnica a firma del dottor C. del giugno 2018).
Con la recidiva reiterata e specifica per I.G..
In Pompei dal 2014 fino all'agosto 2017
3. dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 648 c.p. In Pompei dal 2014 fino all'agosto 2017 OMISSIS
4. dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 349 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso e previo accordo tra loro e con altre persone rimaste ignote, al fine di commettere i reati di cui ai capi 1 e 2, violavano chi sigilli apposti in data 11/06/2009 e successivamente in data 13/08/2014.
In Pompei dal 2014 fino all'agosto 2017
5. degli artt. 110 c.p. e art. 133 comma 1 del D.L. n. 152 del 2006.
Accertato in Pompei nel mese di maggio 2018 OMISSIS
6. Dei reati p. e p. dagli artt. 81 cpv., 110, 635, comma II n. 3, 733 c.p. e 175 del D.Lgs. n. 42 del 2004 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso e previo accordo tra loro e con altre persone rimaste ignote, senza la prescritta concessione (di cui agli artt. 88 e 89 del citato d.lgs.) eseguivano ricerche archeologiche in P. - loc. C. G. - danneggiando siti di interesse storico - artistico - archeologico ed in particolare l'ambiente F della parte servile della "Villa Imperiali" (vedasi nota del parco archeologico di Pompei dell'aprile 2021 a firma del direttore dei lavori, Arch. A.S.); all'interno del quale veniva rinvenuto un carro di epoca romana; in particolare attraverso una rete di cunicoli scavati clandestinamente, sfondavano la parete degli ambienti antichi, asportando ed impossessandosi del materiale di interesse storico, artistico ed archeologico ivi rinvenuto e non meglio precisato perché non caduto in sequestro.
Con la recidiva reiterata e specifica per I.G..
In Pompei fino all'agosto 2017
7. Dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 635, comma II n. 3, 733 c.p. e 175 del D.Lgs. n. 42 del 2004, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso e previo accordo tra loro e con altre persone rimaste ignote, senza la prescritta concessione (di cui agli artt. 88 e 89 del citato d.lgs.) eseguivano ricerche archeologiche in P. - località C. G. - danneggiando siti di interesse storico - artistico - archeologico ed in particolare il criptoportico della villa "Imperiali" di cui venivano sfondate parti delle mura attraverso un cunicolo di 26 metri circa, indicato come cunicolo Ovest dall'architetto R.M. nel corso della sua deposizione all'udienza del 28.1.2021 e nella relativa documentazione dallo stesso redatta (vds slides 11 e 13 acquisite al verbale di udienza del 28.1.2021).
In Pompei, accertato nell'agosto 2017
APPELLANTI
Avverso la sentenza emessa in data 20.9.2021 dal GM del Tribunale di Torre Annunziata, a mezzo della quale sono stati ritenuti colpevoli dei reati loro ascritti e, riconosciuto il vincolo della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche, condannati:
- I.G. alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 1200 di multa;
- I.R. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa (pena base anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 900 di multa; ridotta ex art. 62 bis c.p. sino ad anni due di reclusione ed Euro 700,00 di multa; pena infine aumentata per la continuazione nella misura inflitta), oltre al pagamento delle spese processuali.
Gli imputati erano assolti per i reati loro ascritti ai capi 3 e 5.
Svolgimento del processo
Avverso la sentenza di primo grado hanno proposto tempestivamente appello i difensori degli imputati chiedendo:
1. in via principale, l'assoluzione degli imputati, anche ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., eventualmente previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per l'acquisizione delle denunce presentate dagli I. e per l'acquisizione di eventuali annotazioni di servizio redatte dai Carabinieri di Pompei in ordine alle minacce subite dagli imputati;
2. la declaratoria di inutilizzabilità delle indagini compiute dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari;
3. la sospensione del procedimento con messa alla prova;
4. in subordine, la concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e il contenimento della pena nel minimo edittale (anche mediante esclusione della recidiva contestata ad I.G.).
All'udienza del 4 luglio 2023, il procedimento è stato rinviato per il legittimo impedimento dell'imputato I.R., con sospensione dei termini di prescrizione.
Dopo l'udienza di mero rinvio dell'8 novembre 2023, all'udienza del 13.12.2023, udita la relazione, il P.G. e la Difesa hanno concluso come sopra riportato. La Corte ha effettuato un ulteriore rinvio per la necessità di citare in giudizio
All'esito della camera di consiglio, la Corte ha emesso la presente sentenza, dando lettura del dispositivo, allegato al verbale di udienza e riservando la redazione della motivazione nel termine di 60 giorni.
Motivi della decisione
Gli imputati sono stati condannati per aver proseguito scavi clandestini - già intrapresi nell'anno 2009 - in prossimità della "Villa Imperiali" di Pompei: ivi avevano sfondato le pareti ed avevano sottratto reperti archeologici di epoca romana. Il fatto era accertato nell'agosto 2017. Le indagini erano tuttavia proseguite sino ai primi mesi dell'anno 2018.
La posizione di I.G.
In riforma della sentenza di primo grado va dichiarato non doversi procedere nei confronti di I.G. per essere i reati a lui ascritti estinti per morte del reo. È stato acquisito agli atti del processo il certificato di morte, dal quale emerge che l'imputato è deceduto in data 20/12/2022.
Devono essere conseguentemente revocate le statuizioni civili a suo carico.
La posizione di I.R.
In riforma della sentenza di primo grado va dichiarato non doversi procedere nei confronti di I.R. per i reati di cui agli artt. 349, 733 c.p. e 175 del D.Lgs. n. 42 del 2004.
Quanto ai reati contravvenzionali è sufficiente ricordare che dalla data dell'accertamento dei reati sono decorsi cinque anni, ai quali devono essere aggiunti i periodi di sospensione (dal 27.3.2020 per 62 gg. a causa dell'emergenza COVID e 60 gg. per legittimo impedimento del Difensore). I reati si sono dunque estinti nel mese di dicembre 2022.
In ordine al delitto di violazione dei sigilli, va invece osservato che l'ultimo sequestro dei tunnel risaliva al 13.8.2014. È verosimile (soprattutto se si tiene conto che la notizia della ripresa degli scavi risaliva al mese di settembre 2014) che la violazione di sigilli e la ripresa dei lavori di scavo sia avvenuta proprio negli ultimi mesi del 2014. Da allora è decorso il termine di prescrizione del reato di cui all'art. 349 c.p., pari a sette anni e sei mesi maturato al più tardi all'inizio del 2023, pur tenendo conto dei periodi di sospensione sopra indicati.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. 3 Sentenza n. 13147 del 02/02/2005 Ud. - dep. 12/04/2005- Rv. 231218 - 01) afferma il seguente principio di diritto: Il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfezione per il solo fatto della rimozione, rottura, apertura, distruzione dei sigilli, ovvero con la realizzazione di qualsiasi comportamento idoneo a frustrare l'assicurazione della cosa mediante i sigilli pur lasciando intatti i medesimi. Il momento di perfezionamento del reato può essere desunto anche da indizi gravi, precisi e concordanti e da nozioni di comune esperienza: quindi si può ritenere, in virtù di considerazioni logiche (l'inosservanza dei doveri imposti avviene a distanza di qualche tempo), di fatti notori (sospensione dell'attività edilizia durante il periodo natalizio), di massime di esperienza (l'accertamento viene effettuato tempestivamente a seguito, per lo più, di denuncia anonima) che il momento consumativo del delitto coincida con quello dell'accertamento, salva l'esistenza di ipotesi anomale e particolari da provare rigorosamente, le quali intaccano la detta presunzione rendendo almeno dubbia l'epoca di commissione dei fatti.
Tuttavia, per questi reati, devono essere confermate le statuizioni civili.
Con particolare riferimento alla violazione dei sigilli va infatti precisato che correttamente il primo giudice ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del reato in ossequio al consolidato principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. 3 Sentenza n. 43169 del 15/05/2018 Ud. - dep. 01/10/2018- Rv. 274088 - 01) secondo il quale Il delitto di violazione dei sigilli di etti all'art. 349 cod. pen. si perfeziona con qualsiasi condotta idonea ad eludere l'obbligo di immodificabilità del bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell'avenuto sequestro, sempre che si tratti di soggetto comunque edotto del vincolo posto sul bene. (Fattispecie in cui la conoscenza del sequestro è stata desunta dal rapporto di affinità esistente tra l'imputato e il proprietario del bene sottoposto a vincolo). Ebbene, è evidente, anche per quanto più innanzi si dirà, che la prosecuzione dei lavori di scavo, anche in mancanza della materiale effrazione dei sigilli, era certamente elusiva del vincolo di immodificabilità dei luoghi, noto all'imputato I.R..
Deve essere, altresì, confermata l'affermazione della penale responsabilità di I.R. per le condotte di danneggiamento descritte ai capi 1, 6 e 7, riqualificate nella fattispecie di cui agli artt. 110 e 581 duodecies c.p. Va, infine, confermata l'affermazione di penale responsabilità per il delitto di cui all'art. 176 D.Lgs. n. 42 del 2004.
Sussistono, infatti, gli elementi costitutivi dei delitti indicati. Non si ripercorreranno le complesse indagini di cui si dà atto dettagliatamente nella sentenza di primo grado, se non nella parte necessaria ad affrontare le doglianze mosse con l'atto di appello proposto nell'interesse di I.R.. È in questa sede sufficiente ricordare che l'impianto probatorio sul quale si è fondata la condanna è molto solido. I.R., già nel 2009, era stato arrestato ed, in seguito condannato, per scavi abusivi. Successivamente, nuove indagini erano intraprese a seguito della notitia criminis trasmessa dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio.
In particolare, la perquisizione del 1.8.2017 e le successive attività di indagine consentivano di:
- constatare che gli imputati avevano realizzato un ulteriore cunicolo rispetto a quelli accertati nel 2009, il quale partiva da un pozzo collocato all'interno del giardino di proprietà degli I. che proseguiva per circa 7/8 metri, tagliando la confinante proprietà D.M.;
- sequestrare una lampada da minatore;
- verificare che erano stati saccheggiati cinque ambienti della Villa Imperiali;
- individuare (anche grazie alla piantina manoscritta consegnata da I.G. e sottoposta a sequestro) la presenza di ulteriori ramificazioni dei cunicoli poste alla profondità di circa 4 metri rispetto al piano stradale e di un'apertura nella parete della cantina che collegava l'abitazione direttamente ad una antica cisterna romana; il CTU archeologo dr. C. esaminato in dibattimento precisava che le indagini avevano consentito di comprendere che i "tombaroli" in epoca recente avevano utilizzato tale varco che consentiva agevolmente il passaggio di più persone; verosimilmente nel mese di settembre 2017, a chiusura del varco, era stato posto un masso (cfr. deposizione del brig. S.);
- sequestrare agli I., nel mese di maggio 2018, un secchio rosso, un cavo elettrico della lunghezza di 50 metri, una pala con manico tagliato e un martelletto pneumatico. Altri due secchi identici, per colore e dimensioni, erano stati rinvenuti nel corso degli scavi condotti dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con la Procura di Torre Annunziata all'interno del tunnel 4, impilati e contenenti frammenti di reperti in ceramica;
- accertare che dalla baracca posta all'interno della proprietà degli I. era stata calata una carriola rinvenuta all'interno di uno dei cunicoli;
- verificare che la illuminazione dei cunicoli era garantita da cavi elettrici collegati all'abitazione degli I.;
- accertare, grazie alla presenza della nuova rete di cunicoli, non presenti nel 2009, di terra smossa, sacchi e opere di consolidamento (spruzzi di malta cementizia per evitare crolli o riempimenti di terra), nonché di pareti prive di muffe nonostante il distacco degli intonaci affrescati, che gli scavi erano di epoca recentissima (cfr. sul punto le deposizioni dei testi C. e V.),
- verificare che, all'interno di una baracca, posta all'interno della proprietà R., vi era una botola che dava accesso ad altri ambienti di epoca romana (fatti accertati nel mese di ottobre 2017). In questo luogo, erano rinvenuti involucri in plastica di merendine recanti la data di produzione (6.5.2015) e di scadenza (6.9.2016);
La richiesta di declaratoria di inutilizzabilità delle indagini successiva al mese di febbraio 2018.
Infondata è la richiesta di declaratoria di inutilizzabilità delle indagini compiute dopo il mese di febbraio 2018: ad avviso del Difensore, poiché la proroga era stata disposta solo per il delitto di ricettazione, reato per il quale non vi era alcun elemento idoneo ad affermare la responsabilità degli imputati I., le indagini compiute dopo l'autorizzazione del GIP avrebbero dovuto essere considerate inutilizzabili.
È evidente, infatti, che tutte le indagini compiute nel periodo di proroga delle indagini sono utilizzabili essendo del tutto irrilevante la circostanza che, all'esito del processo, non sia stata ritenuta sufficientemente provata la ipotesi di reato di cui al capo 3.
La richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.
La completezza del quadro probatorio delineato dalla sentenza di primo grado rende assolutamente implausibile che gli imputati, presenti sul luogo al momento della perquisizione ed in possesso della piantina aggiornata dei cunicoli, nonché forniti di un'esperienza pregressa in materia di scavi, fossero non i protagonisti delle condotte descritte, ma vittime di minacce ad opera di soggetti non meglio identificati, dai quali erano stati costretti a lasciare la loro abitazione.
D'altro canto, gli imputati si sono sottratti anche ad un dovere di allegazione "minimo", non hanno indicato con precisione che tipo di minacce avessero subito, ad opera di chi e per quale motivo, a quale autorità si fossero rivolti (atteso che i testi di P.G. esaminati sul punto hanno dichiarato di non aver rinvenuto alcuna denuncia), se ed in quali circostanze avessero lasciato la loro abitazione e per quale destinazione, chi fossero gli occupanti del loro immobile, etc.
Correttamente, pertanto, il primo giudice ha rilevato che le scarne dichiarazioni rese dal I.G. non fossero idonee a fornire una spiegazione alternativa ai fatti accertati.
In merito, peraltro, i testi esaminati, come rilevato dalla Difesa, hanno già riferito quanto a loro conoscenza: si trattava di vaghe dichiarazioni di I.G. di essere vittima di minacce e spari; l'I., invitato a presentare denuncia, non vi aveva provveduto (cfr. deposizione del teste S.).
Va ancora solo ulteriormente precisato che non vi è alcun motivo di ritenere che I.G. fosse minacciato da persone che volessero effettuare scavi al suo posto (gli I. avevano infatti maturato una competenza ed una esperienza specifica). Appare decisamente più plausibile che, se minacce vi siano state, le medesime fossero provenienti dai ricettatori e da ambienti malavitosi legati al mercato clandestino dei beni archeologici (non va dimenticato che si pensava che al di sotto della proprietà I. vi fosse una biga romana di inestimabile valore). Questa tesi trova esatta corrispondenza nella narrazione, compiuta dall'I., dell'episodio avvenuto nel 1996 (citato dalla Difesa nell'atto di impugnazione) allorché era stato minacciato affinché avviasse le operazioni di scavo. Ed, in effetti, gli I. avevano intrapreso gli scavi, come già accertato nel 2009: tale circostanza smentisce nettamente la versione dei fatti fornita dall'I., secondo la quale egli non voleva procedere agli scavi per timore dell'espropriazione dell'immobile.
Ne consegue che, per le ragioni indicate, la Corte non ha ritenuto necessario alcun approfondimento istruttorio in merito.
La richiesta di assoluzione.
Va poi evidenziato che alla tesi secondo la quale gli imputati avrebbero subito minacce per lasciare la loro abitazione si associa la tesi difensiva secondo la quale lo stato dei luoghi - all'interno della proprietà I. - era inalterato rispetto al 2009 (periodo nel quale I.R. era stato arrestato e giudicato con rito abbreviato): gli imputati non avevano violato i sigilli e i "nuovi" cunicoli erano raggiungibili dalla proprietà R. (ed, in effetti, era al di sotto della botola che ivi si trovava che erano state rinvenute le confezioni delle merendine). Ne consegue che, ad avviso della Difesa, la prosecuzione dell'attività di scavo non era riconducibile agli imputati. La Difesa, poi, evidenzia che le accuse a carico degli I. provenivano da L.G., soggetto del tutto inaffidabile ed inattendibile atteso che, in altro procedimento, era stato addirittura considerato capo e promotore di un'associazione a delinquere finalizzata al danneggiamento ed al riciclaggio di beni archeologici.
Il motivo di appello è infondato.
In primo luogo, occorre ricordare che la notizia di reato e la successiva perquisizione traevano origine non da una delazione del G. ma dall'ascolto delle conversazioni tra questi e I.G.: si trattava di conversazioni successive al sequestro del 13/8/2014 dalle quali si desumeva la ripresa dei lavori di scavo (conversazioni ambientali 978 e 979 del 18 settembre 2014) e il contatto degli I. con ricettatori di reperti archeologici.
Ne deriva che la circostanza che i rapporti tra gli I. e il G. fossero "tesi" o che quest'ultimo fosse soggetto legati ad ambienti delinquenziali non incide sulla genesi della notizia di reato; per altro verso, la notizia di reato, come si è visto, ha trovato copiosissimi e univoci riscontri.
Ancora, va ricordato che uno dei nuovi cunicoli, di nuova realizzazione, partiva proprio dal pozzo degli I.. Non a caso, I.G. aveva con sé e consegnava alla P.G. la piantina dei cunicoli; gli imputati avevano la disponibilità di una lampada da minatore e i cavi elettrici che illuminavano i cunicoli erano collegati alla proprietà degli I.. A completare il quadro indiziario erano tutti gli elementi che indicavano recenti interventi all'interno dell'immobile: la terra smossa, la progressione della rete dei cunicoli, il rinvenimento del secchio rosso e della carriola calata dalla baracca in lamiere, etc.
In merito alla consegna della piantina, la tesi difensiva dell'errore di persona (gli Ufficiali di P.G. avevano erroneamente indicato I.G., mentre era stato I.R. a consegnare una piantina risalente al 2009) non trova alcun riscontro negli atti di indagine: questa circostanza non è in alcun modo avvalorata dalle deposizioni dei testi di P.G. (ai quali gli I. erano soggetti ben noti). Può senz'altro escludersi che i cunicoli fossero stati realizzati da altri, atteso che la proprietà degli I. era presidiata da reti molto alte e cani da guardia al fine di renderla inaccessibile e, come si è visto, la tesi che altri avessero occupato la loro abitazione è totalmente sguarnita di credibilità.
L'accuratezza delle indagini e l'autorevolezza delle deposizioni che hanno ricostruito lo stato dei luoghi e i danni subiti dagli ambienti di epoca romana non lasciano adito a dubbi in ordine:
- all'avvenuto danneggiamento di beni culturali di inestimabile valore;
- alla riferibilità degli scavi all'odierno imputato I.R..
La condotta, a seguito della novella introdotta dalla L. n. 22 del 2022 integra il reato di cui all'art. 518 duodecies c.p. il quale, sanzionando la condotta di chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali ...propri o altrui, si pone in continuità normativa con la "vecchia" formulazione dell'art. 635 c.p. (cfr. sul punto Cass. Sez. 2, Sentenza n. 51260 del 16/11/2023 Ud. -dep. 21/12/2023- Rv. 285668 - 01). Pienamente provata altresì è la condotta integrante la fattispecie di cui all'art. 176 D.Lgs. n. 42 del 2004 (avente ad oggetto l'impossessamento di parti di pareti affrescate e decorazioni pavimentali asportati dagli ambienti scavati).
La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.
La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione è motivata dalla Difesa sulla considerazione che l'imputato avrebbe tenuto un buon comportamento processuale.
Il motivo di appello è infondato.
Il comportamento processuale, dell'imputato, non improntato a particolare collaborazione o resipiscenza, non può condurre ad una diminuzione ex art. 62 bis c.p. pari ad 1/3. In particolare, correttamente le circostanze attenuanti generiche non sono state riconosciute nella massima estensione avuto riguardo alla mancanza di condotte riparatorie, all'assenza di segnali di resipiscenza ed, infine, alla personalità dell'imputato (benché non sia stata contestata la recidiva, deve tenersi conto della gravità della condotta di prosecuzione della illecita attività per la quale era già intervenuta condanna).
Il trattamento sanzionatorio.
Dichiarata la estinzione dei reati contravvenzionali, nonché del delitto di violazione di sigilli, la pena deve essere così rideterminata:
- pena base per il più grave reato di cui all'art. 518 duodecies c.p. anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa (trattandosi di fatti gravissimi, che hanno gravemente danneggiato beni di valore inestimabile, la pena base inflitta dal giudice di primo grado appare congrua e proporzionata);
- pena diminuita ex art. 62 bis c.p. sino ad anni due di reclusione ed Euro 620,00 di multa;
- pena aumentata per la continuazione sino ad anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa (in ragione di mesi due di reclusione ed Euro 60,00 di multa per ciascuno dei reati posti in continuazione).
La sospensione del procedimento con messa alla prova.
Va da ultimo evidenziato che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è stata accompagnata da alcun adempimento: non risulta che l'imputato abbia mai chiesto il programma di trattamento al competente Uepe. Non può poi sottacersi che in alcun modo l'imputato avrebbe potuto essere ammesso alla prova in mancanza di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato.
La sentenza di primo grado deve essere nel resto confermata.
Il carico di lavoro complessivamente gravante sull'Ufficio giustifica il prolungamento dei termini ordinari per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza emessa dal G.M. del Tribunale di Torre Annunziata in data 20.9.2021, appellata dagli imputati, così provvede:
- dichiara non doversi procedere nei confronti di I.G. per i reati a lui ascritti perché estinti per morte del reo; revoca le statuizioni civili emesse nei suoi confronti;
- dichiara non doversi procedere nei confronti di I.R. per i reati di cui agli artt. 349, 733 c.p. e 175 del D.Lgs. n. 42 del 2004 a lui ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione e, riqualificate le condotte di cui ai capi 1 e 6 nella fattispecie di cui all'art. 518 duodecies c.p., ridetermina la pena inflitta in anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa.
Revoca la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici inflitta ad I.R..
Conferma nel resto.
Letto l'art. 544, III comma, c.p.p. indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.
Conclusione
Così deciso in Napoli, il 31 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.