Analisi del comportamento Piena prova - Sent. Cass. 2715/2020

In questa interessante sentenza di Cassazione, la Corte ha ritenuto immune da censure la valutazione espressa dai giudici di merito di inattendibilità, sul piano scientifico, dell'indagine denominata "behavioural screening", condotta dai consulenti della difesa su filmati ritraenti la persona offesa in sede di informazioni testimoniali onde far rilevare pretese incoerenze tra il contenuto delle sue parole ed il linguaggio del suo corpo, significative della non veridicità delle sue dichiarazioni accusatorie, nonostante la mancata base scientifica della tesi.

1.Con sentenza in data 30 gennaio 2019 la Corte di appello di Trieste riformava parzialmente la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Udine del 14 febbraio 2018, resa all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, e, mandata assolta perchè il fatto non sussiste l'imputata H.P.D.S. dal reato di cui al capo b) di rubrica, rideterminava la pena inflittale in anni quattro, mesi uno e giorni dieci di reclusione in relazione ai reati, già unificati per continuazione, di tentato omicidio aggravato in danno di N.G. e di minaccia aggravata in danno dello stesso e della di lui convivente V.A.Y.M., confermando nel resto l'impugnata decisione.

1.1 Dalla ricostruzione degli eventi, operata in modo conforme da entrambe le sentenze di merito, emerge che l'imputata, coniugata con N.G., la notte del (OMISSIS) verso le ore 03.00, utilizzando una copia di chiavi in suo possesso, si era introdotta nell'abitazione del suocero, N.G., nell'intento di sorprendervi il marito in compagnia dell'amante, M.D.G.N., ma il suocero, svegliato dal rumore, l'aveva scoperta e, armato di pistola, l'aveva affrontata per apprendere la ragione della sua presenza e le modalità del suo ingresso; sentitosi rispondere che ella amava il marito, il N. aveva affermato di voler chiamare i Carabinieri e, giratosi per prendere il telefono cellulare, era stato aggredito alle spalle dalla nuora, che lo aveva colpito con un coltello alla gola, provocandogli una ferita da taglio di cm. 20, per la quale egli era stato sottoposto ad intervento chirurgico. Il N. aveva però reagito e ne era insorta una colluttazione alla quale avevano preso parte anche la V.A. e poi N.G., svegliatosi per i rumori e le grida, cosa che aveva consentito loro di disarmare l'imputata, che però, impossessatasi della pistola che il suocero aveva gettato sul divano, l'aveva puntata contro di loro, azionando il grilletto alcune volte, senza però aver potuto esplodere nessun colpo, non avendo l'arma il colpo in canna ed essendo necessario lo scarrellamento. A quel punto la H. Patino aveva prelevato dalla cucina altro coltello, lanciandosi di nuovo contro N.G., ma era stata nuovamente disarmata dal marito, che nel frattempo aveva chiamato le forze dell'ordine ed era poi riuscito a spingere la moglie fuori di casa.

L'intervento dei Carabinieri aveva consentito di trarre in arresto la donna, mentre costei stava ancora inveendo contro il marito per le sue infedeltà.

Nel giudizio espresso in entrambi i gradi di merito nella condotta dell'imputata sono stati ravvisati gli estremi del tentativo di omicidio per avere costei aggredito il suocero con strumento offensivo in zona altamente vitale ed avergli cagionato lesioni, che ne avevano esposto a pericolo la vita senza che l'esito letale si fosse verificato per il pronto intervento dei presenti e poi dei soccorsi, mentre è stata respinta, perchè smentita dalle emergenze probatorie, la tesi difensiva, volta ad addebitare la condotta aggressiva alla necessità di difendersi dall'azione violenta portata per prima contro la sua persona dalla vittima.

1.2 Avverso l'indicata sentenza ha proposto ricorso l'imputata per il tramite del difensore, avvocato, il quale ne ha chiesto l'annullamento per:

a) violazione di norme processuali in relazione all'art. 192 c.p.p. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto al giudizio di attendibilità della persona offesa, alla inattendibilità della versione resa dall'imputata, al luogo e alla dinamica del tentato omicidio. La valutazione di attendibilità della persona offesa circa lo svolgimento dei fatti risulta in più punti manifestamente illogica e contraddittoria, oltre che non corrispondente ai dati fattuali offerti dalle altre testimonianze assunte e dalle consulenze tecniche, che non sono state considerate, così come è stata tralasciata la considerazione della personalità del N. e di alcuni episodi oscuri del suo passato. In particolare, non è stato valutato che egli è soggetto dedito all'abuso di alcolici, sospettato di essere responsabile del decesso della prima moglie, accusato dal figlio di violenze e disinteresse nei confronti di costei e dalla seconda moglie, a sua volta deceduta in un incidente stradale, denunciato per irregolarità della custodia di armi da sparo e per detenzione illegale di una pistola lanciarazzi, insomma coinvolto in gravi vicende, per occultare le quali aveva già dimostrato propensione a mentire. Inoltre, egli aveva mantenuto il possesso illegale di armi, che non aveva esitato ad usare contro la nuora.

Al riguardo la Corte di appello ha ritenuto che la H.P. avesse mentito allorchè ha riferito di essere stata colpita dal N. con la pistola per l'assenza di tracce al capo, compatibili con la condotta descritta: in tal modo però ha ignorato quanto emerge dalla documentazione medica, indicativa della presenza di contusioni al capo ed alle braccia, refertate in data (OMISSIS) all'atto dell'ingresso della donna in carcere. Anche l'assunto circa l'assenza di valide ragioni perchè il N. dovesse colpire la nuora non tiene conto che, secondo quanto dichiarato da N.M.D.G., sia la persona offesa, che il figlio dormivano in quel periodo in camere da letto chiuse a chiave per timore delle reazioni lesive che l'imputata aveva manifestato qualora avesse sorpreso il marito con l'amante; tanto non autorizza a ritenere che N.G. nel trovarsi di fronte in piena notte la nuora, non un malvivente, si fosse rassicurato.

La versione dell'accaduto fornita dalla ricorrente è sempre stata coerente, ma è stata erroneamente stimata falsa dalla Corte di appello.

-In primo luogo l'essersi ella portata nell'abitazione del suocero per il sospetto che vi fosse il marito con l'amante costituisce circostanza smentita da N.G., per il quale la moglie non sapeva della sua relazione e della presenza della M.D.G., testimonianza ritenuta però sul punto inattendibile per avere già la ricorrente incontrato costei in precedente occasione proprio in quell'abitazione: si tratta di informazione che non si sa da dove sia stata ricavata, ma che non è significativa del movente ritenuto dalla Corte di appello, dal momento che la giovane è la nipote della V.A., ma la H.P. l'aveva conosciuta come una amica di costei.

-Le modalità clandestine d'ingresso nella casa del suocero sono in contrasto con lo scopo dichiarato a posteriori di rintracciare il marito ed avvalorano, per la Corte di appello, il proposito vendicativo ed il possesso del coltello sin da quel momento; al contrario, seppur entrata con l'intento di sorprendere N.G. con l'amante, tanto non significa che ella avesse inteso realizzare le minacce manifestate in precedenza, minacce che non trovano riscontro nelle dichiarazioni rese da N.G., No.Gi. e V.A.Y..

-L'assenza di valida ragione per la quale No.Gi. avrebbe dovuto aggredire per primo la nuora contrasta con quanto affermato a pag. 31 e 32 della sentenza, ossia con la circostanza che entrambi i N. dormivano in camere chiuse a chiave per le minacce ricevute da H.P..

-L'incredulità della Corte di appello per il fatto che l'imputata, oltre a non presentare segni dei colpi che ha riferito di avere ricevuto dal suocero alla testa, non avesse spiegato come fosse riuscita ad indietreggiare in cucina e ad afferrare un coltello, nonostante la distanza ravvicinata da N. che la stava colpendo, non tiene conto del breve tragitto percorso dal corridoio alla cucina e dell'istintivo ritrarsi della donna all'azione del suocero, così come la presenza della stessa nel disimpegno, ove era stata vista dal marito e da V.A., si spiega per il fatto che il N., colpito, aveva cessato di aggredirla e le aveva così consentito di spostarsi. La ritenuta falsità della circostanza dell'aggressione da parte del N. ad H. Patino come avvenuta in cucina non tiene conto che, secondo lo stesso ragionamento, anche l'imputata non aveva valida ragione per collocare l'azione in cucina, anzichè in un'altra stanza della casa.

-La presenza di copiose tracce di sangue nel disimpegno, molto più abbondanti rispetto alle poche rinvenute in cucina, circostanza che avvalora il racconto di N.G., deve tenere altresì conto che costui aveva subito una ferita alla vena giugulare destra, dalla quale il sangue era gocciolato a terra e non uscito a fiotti, come da lui falsamente riferito ed escluso dall'assenza di schizzi sulla parete in prossimità della stufa sulla quale era appoggiato il telefono, che egli era stato in procinto di prelevare per chiamare i Carabinieri.

Altrettanto smentito è che le tracce di sangue rinvenute in cucina provengano dall'imputata, ferita al polso, poichè nessun accertamento lo prova e la ferita era superficiale. Anche la rilevata presenza di un'unica impronta di un piede nudo in cucina, che la vittima ha negato appartenerle, resta inspiegata dalla Corte di appello e contrasta con l'accertata presenza in prossimità del cassetto dal quale sarebbe stato estratto il coltello di plurime impronte derivanti da trasferimento di sostanza ematica, che soltanto N. aveva potuto imprimere per essere stato nudo a differenza dell'imputata, che aveva calzato scarpe con suola a solchi trasversali e paralleli e del figlio, che si era vestito ed aveva indossato scarpe. Pertanto, le impronte del N. in cucina si possono spiegare solo se il ferimento iniziale sia avvenuto proprio in cucina.

-Altro argomento, che, a dire della Corte di appello, dovrebbe confermare la inattendibilità della ricostruzione fornita da H.P. è il comportamento tenuto dalla stessa nei momenti immediatamente successivi quando, in modo poco compatibile con la presunta aggressione subita e la violenta reazione, ella avrebbe avuto la forza di inseguire il marito, di insultarlo e per dirgli di non essere pentita di quello che aveva fatto, che egli si era meritato, frasi percepite dai Carabinieri prima di fermare la donna, che però sono riferibili all'ingresso clandestino in casa o egualmente al ferimento del suocero e sono spiegabili con lo shock della situazione.

-Le numerose contraddizioni evidenziate con l'appello tra le dichiarazioni rese da N.G. ed il linguaggio del corpo sono state ignorate dalla Corte di Appello.

1) Il particolare dell'avere H.P. nel corso della colluttazione bussato alla porta della camera da letto occupata dal marito, riferito da N. il 30 agosto, ma negato nel verbale del 1 settembre allorchè egli aveva affermato averlo fatto la propria compagna, è stato risolto dalla Corte di appello, rilevando un errore di verbalizzazione e rinvenendo conferma nella testimonianza di V.A. dell'avere la stessa bussato alla porta della camera di G., senza però avere considerato che il medesimo N. il (OMISSIS) aveva ripetuto che era stata la nuora a battere col pugno sulla porta perchè il marito uscisse dalla camera e che sull'uscio erano presenti tracce ematiche in posizione alta, che V.A., da inginocchiata, non avrebbe potuto lasciare.

2) La ricostruzione operata in sentenza sui coltelli utilizzati e sulle persone che li avevano impugnati è molto confusa e contrasta con quanto emerso in fase di indagini. Il coltello utilizzato nella prima fase dell'episodio, contrassegnato col n. 1), è stato riconosciuto da No.Gi. come appartenente alla dotazione della sua cucina, cosa confermata anche da N.G., mentre sull'appartenenza del coltello indicato col n. 2) vi è incertezza perchè la persona offesa non lo ha riconosciuto ed entrambi sono stati rinvenuti nella zona notte dell'abitazione. I testi dell'accusa hanno dichiarato che, dopo essere stata disarmata dal primo coltello, la ricorrente ne avrebbe impugnato altro, ma la circostanza appare inverosimile perchè non si spiega come H. Patino fosse riuscita a correre ed a raggiungere la cucina senza che nessuno l'avesse fermata e la successiva fase del suo disarmo non è descritta in modo conforme dagli stessi testi, perchè No.Gi. ha sostenuto di averlo fatto lui in entrambi i casi, M.D.G. che H. Patino era stata privata del secondo coltello dal marito, V. Anziani di averle tolto il secondo coltello che aveva gettato sul tetto dell'officina, riconosciuto dopo il recupero da parte dei Carabinieri. Per la Corte di appello H. si sarebbe avvicinata a No.Gi. impugnando non uno, ma due coltelli, uno portato dall'esterno ed uno prelevato dalla cucina del suocero ed in tal modo sarebbe riuscita con una mano ad afferrarlo per la schiena e con l'altra a tagliargli il collo da destra a sinistra, ma non spiega come avesse potuto farlo, tenendo in mano due coltelli ed anche il Tribunale del riesame di Trieste aveva ritenuto problematico sostenere che H.P. avesse portato con sè un coltello. In sentenza, pur ammettendosi che nessuno è stato in grado di spiegare la presenza di tre coltelli sulla scena del delitto, si è ritenuto che tanto non escludesse la prova della volontà di H.P. di aggredire il marito e l'amante per avere già impugnato l'arma quando era stata scoperta dal suocero ed indipendentemente dal suo arrivo. Ma tale affermazione non tiene conto che No.Gi. quando aveva descritto in data 1.9.2016 l'accoltellamento aveva rievocato con le mani la frase pronunciata dalla nuora "Io amo G." come se quei gesti li avesse fatti la donna, cosa che rendeva impossibile impugnare al tempo stesso due coltelli.

3) La Corte di appello non ha ritenuto dirimenti nemmeno le due ultime consulenze medico legali, una dell'accusa ed una della difesa, che concordavano sulla maggiore attendibilità del racconto offerto dall'imputata rispetto a quello della persona offesa ed escluso che il colpo di coltello fosse stato inferto da tergo, sebbene rispetto ai dati considerati dai consulenti M. e D., i successivi tecnici R. e Ma. hanno potuto esaminare, sia H., sia N., hanno raccolto le loro misure antropometriche di statura rispetto alla lunghezza dei coltelli e esaminato le foto della ferita di N. prima che venisse suturata con una maggiore completezza di informazioni disponibili rispetto ai consulenti inizialmente incaricati. Secondo la Corte, la differenza di altezza tra agente e vittima è stata annullata dall'estensione del braccio, che misura cm. 64,5, e che ha colpito N. non nel punto più alto del corpo grazie alla presa alla schiena che aveva agevolato il gesto, ma la conclusione resta smentita dagli accertamenti dei consulenti, che hanno tenuto conto degli stessi elementi che per la Corte sarebbero stati ignorati, comprese le "zone interessate dal traumatismo".

Anche in ordine alla ritenuta assenza di lesioni sulla persona della ricorrente, lo stesso consulente del PM ha evidenziato ecchimosi ed ematomi riscontrati su H.P. al momento dell'ingresso in carcere.

4) La Corte di appello ha considerato inattendibile l'analisi del consulente della difesa sulle tracce ematiche e sul luogo del ferimento iniziale: il Dott. Ma., basandosi su argomenti scientifici, ha evidenziato che le tracce di sangue visibili nelle foto scattate dalla polizia giudiziaria si spiegano soltanto con la presenza di N. in cucina e con la ferita da taglio da questi riportata in quel locale, mentre erra la Corte di appello nel ritenere congetturale il relativo giudizio, in realtà avvalorato dai dati oggettivi sul numero di impronte di piede nudo e sulla quantità di gocce ematiche presenti in cucina, senza tralasciare che il predetto consulente ha ammesso che parte dell'azione si era svolta altrove.

5) In sentenza è stata negata validità alla consulenza di behavioural screening, nonostante la scientificità delle tecniche relative di interpretazione del linguaggio del corpo sia stata ampiamente discussa in sede di esame delle consulenti. In particolare, nel ritenere la Corte di appello che non fosse stato investigato il linguaggio gestuale caratteristico della persona offesa anche mediante somministrazione di test per inquadrarne la personalità, non ha tenuto conto che le consulenti della difesa avevano approfondito tale aspetto e che comunque il linguaggio corporeo non attiene alla personalità ed alla psicologia individuale ed è errato ritenere che il giudizio di attendibilità di una testimonianza non possa essere fornito mediante consulenza, rientrando nei compiti esclusivi del giudice, perchè l'ordinamento non vieta l'utilizzo di tecniche per valutare l'attendibilità del contributo dichiarativo e l'art. 220 c.p.p. ammette la perizia quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, che esulano dal normale patrimonio conoscitivo.

b) Violazione di legge processuale in relazione all'art. 192 c.p.p., inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 56 e 575 c.p. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza del delitto di tentato omicidio. Non è stato considerato che N. non ha mai corso pericolo di vita, come accertato dal consulente Dott. Ma. e dal Dott. R.. La Corte di appello ha ritenuto che l'imputata avesse agito per uccidere il suocero, ma non ha spiegato per quale ragione ella non gli avesse conficcato un coltello o due nella schiena ed abbia fatto un salto per attingerlo in modo superficiale al torace.

Anche in ordine alle pregresse minacce di morte, contrasta con tal evenienza il fatto che N.G. avesse portato l'amante in quell'abitazione ben sapendo che la moglie aveva le chiavi di casa ed è escluso che la ricorrente avesse avuto la certezza che il marito si era coricato con altra donna, avendo visto M.D.G. uscire dalla sua camera soltanto a fatti compiuti, il che esclude anche la sua intenzione di ucciderlo.

Inoltre, non sono stati valutati numerosi elementi a discarico in ordine al rapporto coniugale con N.G., indicativi del fatto che in quel periodo essi stavano cercando di ricomporre la loro unione e che H.P. non sospettava il tradimento del marito, come dimostrano i messaggi che si erano scambiati e la lettera inviata all'avv.to Busolini, il che priva di verosimiglianza che ella abbia potuto rivolgere minacce di morte al marito ed alla sua amante, condotta mai riscontrata.

Non è stata spiegata la ragione per la quale la ricorrente avrebbe dovuto volere uccidere il suocero prima ancora di essere certa che il marito la stesse tradendo con altra donna. Manca anche una soddisfacente spiegazione sul requisito dell'univocità degli atti a cagionare la morte della vittima e sul dolo, poichè la ricorrente aveva soltanto inteso allontanare da sè il suocero nel contesto di un'azione difensiva, mentre il N. non ha riportato lesioni tipiche da difesa alle mani. Il fatto al più avrebbe dovuto essere qualificato come lesione personale.

c) Violazione di norme processuali in riferimento all'art. 192 c.p.p., inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 52 c.p. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa.

La motivazione fornita sul punto è laconica e basata sul presupposto erroneo che H.P. avesse mentito, raccontando di essere stata aggredita dal suocero per l'assenza di ferite al capo o alle braccia, cosa smentita dalla documentazione sanitaria. Inoltre, ella si era trovata davanti il suocero armato di pistola, che le aveva puntato contro, realizzando una grave minaccia e senza avere vie di fuga perchè uscendo dall'abitazione avrebbe potuto essere colpita da tergo, per cui quando ha impugnato il coltello ha soltanto cercato di allontanare da sè N. senza volerlo ferire, nè uccidere.

Al più ella può essere incorsa in errore nel ritenere la propria vita esposta a pericolo imminente e non evitabile come emerge dalla perizia del Dott. T., consulente della Procura, per il quale nella versione fornita dalla ricorrente si rinviene una difesa scoordinata, reazione ad un pericolo incombente e reale, non ad un'errata percezione patologica della realtà.

d) Violazione di norme processuali in riferimento all'art. 192 c.p.p. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto alla attendibilità delle persone offese, al luogo ed alla dinamica delle minacce. Il giudizio di responsabilità si è basato sulle dichiarazioni rese da No.Gi. del 30 agosto 2016 e dell'1 settembre 2016 e su quelle di V.A.Y. del 31 agosto 2016, mentre nè N.G., nè M.D.G.N. avevano fatto riferimento ad una pistola, cosa illogica per quanto riguarda V.A.. Nelle versioni rese dai due testi a carico l'unico particolare che corrisponde riguarda il tentativo di H.P. di sparare contro le loro persone due o tre volte, nel resto i loro racconti divergono sul luogo e sul momento di svolgimento dell'azione e sulla loro posizione reciproca, indicato da V.A. nel corridoio della zona notte, mentre N.G. ha riferito di avere da loro appreso che la moglie aveva tentato di sparare quando lui si era recato a chiamare il 118. Pertanto, sul punto le deposizioni sono del tutto false, come già ritenuto dal Tribunale del riesame.

In ogni caso, poichè l'arma era scarica, non era in grado di prospettare nessun male al N. o ad altri, la fattispecie rientra nell'ipotesi del reato impossibile per inidoneità dell'azione; per contro la Corte di appello ha ritenuto erroneamente che questa condotta rientrasse nell'azione di tentato omicidio.

e) Violazione di legge in relazione agli artt. 132133 e 62-bis c.p. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata applicazione delle attenuanti generiche nella misura massima per la gravità del fatto; il giudizio espresso dalla Corte di appello è rimasto privo di puntuale giustificazione, tanto più che si è scelto di punire il reato più grave con il minimo edittale.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18art. 83, convertito dalla L. n. 27 del 24/04/2020, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott. ...ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per la manifesta infondatezza dei primi tre motivi e la genericità e manifesta infondatezza dei restanti.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento.

1.II primo motivo investe il giudizio di attendibilità espresso dai giudici di merito in ordine alla testimonianza resa dalla persona offesa, che ha fornito ricostruzione degli accadimenti in contrasto con la versione dell'imputata, disattesa dai giudici di merito perchè in sè non credibile e smentita anche dalle risultanze oggettive fornite dall'istruttoria.

1.1 La sentenza in esame non ha certo trascurato le censure difensive già articolate con l'atto di gravame per rappresentare, quali elementi significativi di una deliberata falsa rievocazione degli eventi, la personalità negativa ed aggressiva di No.Gi., censure che ha respinto con motivazione ampia, articolata e priva di qualsiasi profilo di illogicità manifesta. La valutazione condotta non presta il fianco a critiche se si considera che del preteso oscuro e criminoso passato del N., al di là dell'abuso di alcolici ed alle intemperanze così indotte, l'unico dato oggettivamente acclarato è rappresentato dal possesso illecito di armi e dalla guida in stato di ebbrezza in una circostanza, ma nessun elemento di prova valutabile lo ha indicato in precedenza e lo indica ora quale autore dell'omicidio delle due mogli, fatti per i quali non è stato nemmeno sottoposto a procedimento penale. Quanto al ricorso alla violenza in danno di figure femminili a lui vicine, l'impugnazione sul punto enfatizza notizie fornite da N.G. in verbali di dichiarazioni raccolte nell'ambito delle indagini difensive, che restituiscono un quadro di relazioni familiari problematiche in dipendenza dell'alcolismo di entrambi i genitori, ma non muòvono accuse specifiche in ordine alle cause della morte della madre. Quanto alle altre vicende riguardanti la seconda moglie di No.Gi., le informazioni sulle investigazioni condotte all'epoca della relazione coniugale sono state irritualmente richiamate, in quanto risultanti da atti processuali facenti parte del fascicolo del pubblico ministero non allegati al ricorso e nemmeno trascritti integralmente, con la conseguente carente autosufficienza dell'impugnazione stessa. Non è, infatti, compito del giudice di legittimità ricercare gli atti istruttori utili alle parti per sostenere la fondatezza delle loro prospettazioni quando deducano il vizio che inficia la motivazione del provvedimento impugnato.

1.2 In questo contesto dimostrativo risulta ineccepibile sul piano giuridico e logico la considerazione svolta dalla Corte di appello, per la quale i comportamenti aggressivi e gli abusi commessi dal N. prima della vicenda oggetto del processo, anche qualora reali, non indicano necessariamente, nè che egli abbia usato violenza per primo contro la nuora la notte del proprio accoltellamento, nè che abbia mentito nel descrivere quegli accadimenti. Soltanto sulla scorta di una inaccettabile presunzione può sostenersi che la personalità di chi abbia già commesso un illecito indichi di per sè la sua responsabilità in ordine ad ulteriori condotte criminose, che siano svincolate dal pregresso comportamento; al contrario, nell'ordinamento processuale vige la presunzione di affidabilità della fonte dichiarativa, che siccome generica e iuris tantum, opera sino a che la testimonianza non sia smentita da elementi di segno contrario, che ne indichino il mendacio o l'errore, consapevole o meno, nel rappresentare i fatti descritti.

La Corte di appello si è attenuta ai criteri valutativi dettati dalla giurisprudenza, per la quale il vaglio critico delle dichiarazioni della persona offesa è sottratto alle regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, e le stesse possono legittimamente costituire anche l'unico elemento di prova a carico dell'imputato quando siano oggetto di verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le informazioni fornite da un qualsiasi testimone e supportata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto per i caratteri di logicità, coerenza e non contraddizione anche con altri elementi parimenti attendibili o già acquisiti come certi (Sez. U., n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, rv. 253214; sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, rv. 265104; sez. 6, n. 3041 del 3/10/2017, dep. 2018, Pc in proc. Giro, rv. 272152).

Inoltre, si ricorda che in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quoad plerumque accidit ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C, rv. 278601), situazioni che nel caso specifico non ricorrono.

1.3 Seguendo l'ordine degli argomenti esposti in ricorso, viene in considerazione il giudizio espresso dalla Corte di merito d'inattendibilità della descrizione dell'episodio fornito dall'imputata, censurato sotto diversi concorrenti profili.

1.3.1 In primo luogo, non è seriamente contestabile, nemmeno in base alla documentazione medica agli atti, il dato oggettivo dell'assenza sulla persona dell'imputata di ferite compatibili con l'aggressione che la stessa ha riferito di avere subito ad iniziativa autonoma di No.Gi.. La difesa cita gli esiti dei referti medici, ma trascura di porli in relazione alle affermazioni di H.P., laddove costei ha sostenuto che il suocero, adirato per averla sorpresa in piena notte all'interno della propria abitazione, l'aveva colpita al capo con la pistola che aveva avuto in mano mentre ella aveva cercato di ripararsi con le braccia. Il rilievo contenuto in sentenza circa l'assenza di lesioni lacero-contuse e di contusioni al capo non viene adeguatamente contraddetto dai referti citati in ricorso: quello del pronto soccorso non riferisce di nessuna lesione al capo, ma soltanto di un ematoma allo zigomo sinistro, la cartella clinica redatta dopo l'arresto descrive la presenza di mere ecchimosi, una al capo, estesa un solo centimetro "in sede temporale sx", altra allo zigomo sinistro, oltre che in altre regioni anatomiche ed alla ferita da taglio ad un polso. Ne discende la correttezza del rilievo, operato in sentenza, circa l'assenza nell'imputata di conseguenze pregiudizievoli della sua integrità fisica compatibili con l'aggressione lamentata, posto che le ecchimosi concentrate su gomiti e ginocchia ed anche quella alla testa contraddicono l'utilizzo della pistola quale strumento contundente, che, in quanto oggetto pesante, avrebbe dovuto produrre un ben diversi effetti, più profondi ed estesi, se utilizzato per colpire e non per esplodere proiettili. Inoltre, anche l'ecchimosi presente in zona temporale sinistra nel predetto diario clinico carcerario è collocata in prossimità dello zigomo sinistro, il che spiega efficacemente le ragioni per le quali la Corte di appello ha negato la presenza di lesioni coerenti con azioni aggressive concentratesi sulla testa dell'imputata.

Nè va tralasciato che, per come descritto in sentenza e testimoniato da più fonti, dopo l'accoltellamento del suocero, l'imputata aveva ingaggiato più volte una colluttazione con questi, la compagna V.A. e col marito N.G., che con la forza avevano cercato di disarmarla e renderla innocua; tanto rende ancora più incerta l'attribuzione delle ecchimosi e delle escoriazioni, che si ripete solo marginalmente hanno interessato la testa, all'azione di N.G. ed esclude qualsiasi vizio motivazionale, anche per travisamento dei dati probatori, nella sentenza impugnata. Sul punto il ricorso isola alcune circostanze dal contesto fattuale complessivo di svolgimento dell'episodio e quindi non si confronta integralmente con la motivazione che critica in termini inefficaci.

1.3.2 Si assume in ricorso che sarebbe contraddittoria l'esclusione da parte della Corte di appello di qualsiasi plausibile motivo per il quale la persona offesa avrebbe dovuto aggredire per prima la nuora rispetto al passaggio della motivazione in cui si era evidenziato che entrambi i N. quella notte avevano chiuso a chiave le rispettive camere da letto nel timore di un ingresso dell'imputata.

Sul punto la Corte di appello ha escluso la plausibilità di un'azione fisicamente aggressiva contro l'imputata in ragione delle espressioni di stupore, riferite dai testi a carico, che No.Gi. aveva proferito quando, allertato dai rumori avvertiti nella notte e dal tentativo di apertura della porta della sua camera da letto, si era alzato per verificare di cosa si trattasse, si era trovato di fronte la nuora e le aveva chiesto spiegazioni sulla sua presenza in quelle circostanze. Non è per nulla illogico ritenere che costui non avesse assunto un atteggiamento violento, ma soltanto stupito, anche perchè, essendo munito di arma non immediatamente efficiente allo sparo, se avesse realmente temuto le minacce di morte della donna, avrebbe dovuto assecondarla e farla uscire di casa, non percuoterla.

1.3.3 In ricorso si richiama la versione dell'accaduto fornita dall'imputata per assumerne la piena affidabilità, in quanto priva di contraddizioni e corredata da riferimenti circostanziali coerenti, ma tuttavia respinta dalla Corte di appello con argomentazioni illogiche.

1.3.3.1 In sentenza si afferma fondatamente che la notte del ferimento del suocero la donna aveva fatto ingresso con modalità clandestine all'interno della sua abitazione nell'intento di sorprendere il marito con l'amante, di cui sospettava la presenza e che sapeva alloggiare in quel luogo e per dar sfogo ai propositi vendicativi già esternati in precedenza. A tal fine si è valorizzato quanto riferito da N.G. sul fatto che durante la vacanza in Croazia, che essi avevano trascorso poche settimane prima, la moglie aveva scoperto un messaggio telefonico inviatogli da N.M.D.G. ed aveva avuto una reazione violenta con lancio di sassi e minacce di morte, che aveva reiterato quando venti giorni prima del fatto si era presentata a casa del suocero a far valere la sua condizione di moglie di G. e, incontrata la rivale, l'aveva accusata di essere la causa delle difficoltà insorte col marito.

Per la Corte di merito l'intenzione di cercare il marito, non rinvenuto nella casa coniugale, non è coerente con le Modalità di introduzione nell'abitazione del suocero, compiuta alle 03.00 di notte, con le chiavi in suo possesso, senza suonare il campanello, nè preannunciare in nessun modo la visita e col tentativo di fare ingresso nelle camere da letto dopo essersi mossa al buio senza fare rumore e senza bussare alle porte per non dare modo agli occupanti di percepire la sua presenza e di reagire: questi comportamenti, per i giudici di appello, possono trovare spiegazione razionale soltanto con il proposito di scoprire il marito in flagrante adulterio, perchè per verificare se questi fosse stato al sicuro o dove si fosse trovato sarebbe stato sufficiente telefonare o azionare il campanello della casa, mentre la conoscenza anticipata della sua presenza in quel luogo le era stata consentita dalla sosta della sua autovettura nei pressi e dal suo avvistamento prima di entrare nell'abitazione.

In tal modo la Corte, basandosi su dati oggettivi e su quelli acquisiti dalle fonti dichiarative, ha illustrato in modo efficace e perfettamente logico il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni dell'imputata quanto al movente del suo agire circospetto e clandestino.

1.3.3.2 Per la Corte distrettuale è rimasta senza spiegazioni anche la descrizione delle modalità con le quali l'imputata sarebbe riuscita ad indietreggiare dal disimpegno ove era stata affrontata da No.Gi. sino a raggiungere la cucina e ad afferrare un coltello, nonostante si fosse trovata sotto i presunti colpi sferratile a distanza ravvicinata dal suocero. Nessun particolare, secondo la Corte di merito, è stato descritto sul luogo di prelievo del coltello, che si presume fosse riposto in cassetto della cucina e sul modo in cui ella era riuscita ad effettuare quel movimento, sebbene impegnata a respingere o a proteggersi dai colpi di N..

Nella valutazione condotta in sede di appello ciò che rende non plausibile il racconto dell'imputata, e che il ricorso tralascia, non è il tentativo di sottrarsi ai colpi spostandosi all'indietro per sfuggire all'aggressione, quanto la generica descrizione di tale momento, il riferito successo della manovra e la possibilità di afferrare un coltello, prelevandolo dal luogo ove era riposto, cosa che in realtà implica l'inazione dell'assalitore, non il perdurare dei colpi, che, dovendo essere inferti da tergo, avrebbero dovuto cagionare effetti compatibili, in realtà assenti per quanto già osservato.

1.3.3.3 In sentenza si è altresì escluso che l'aggressione, lamentata da H. Patino, fosse avvenuta nel locale cucina. Si è evidenziato che tale circostanza è smentita da No.Gi., per il quale egli aveva visto la nuora uscire dalla cucina e farglisi incontro nel disimpegno e, non avendo ottenuto risposta sul modo in cui fosse riuscita ad entrare, aveva affermato di voler chiamare i Carabinieri e di essersi girato per prelevare il proprio telefono cellulare, appoggiato ad una stufa e quindi di essere stato colpito da tergo dalla nuora al collo. Alla rievocazione operata dalla persona offesa è stato rinvenuto preciso riscontro nella deposizione degli altri testi V.A. e N.G. e nei rilievi tecnici, operati dal personale di polizia intervenuto immediatamente dopo i fatti.

Questi ultimi attestano la presenza di copioso materiale ematico nel disimpegno prossimo alla zona notte della casa in maggiore quantità rispetto a quanto rinvenuto in cucina, secondo quanto significato dai rilievi fotografici cui la Corte di appello ha fatto specifico riferimento in un'analisi comparativa tra quelli riguardanti il disimpegno e la cucina, concludendo per la presenza in quest'ultimo locale di poche gocce di sangue in prossimità dei fuochi, sul bordo del lavello e sul piano della penisola che contiene un cassetto rinvenuto aperto con tracce ematiche al suo interno. Tale evenienza è stata ritenuta incompatibile col ferimento di N. come avvenuto in cucina, cosa che avrebbe dovuto lasciare tracce molto più copiose.

Replica la difesa che il particolare, riferito da N., della fuoriuscita di sangue a fiotti è smentito dall'assenza di schizzi sul soffitto e sulle pareti della zona del disimpegno, mentre le gocce presenti in cucina non potevano essere ricondotte alla ferita al polso riportata dall'imputata perchè superficiale e per l'assenza di indagini mirate sulla provenienza di quel materiale. Inoltre, non ha trovato spiegazione la rilevata presenza di un'unica impronta di un piede nudo in cucina, che la vittima ha negato appartenerle, ma che sono riferibili soltanto a N., uscito nudo e privo di calzature dalla sua camera da letto. Tali elementi dovrebbero avvalorare l'ipotesi del ferimento avvenuto in cucina.

Ritiene il Collegio che nessuna delle obiezioni difensive sia in grado di minare la tenuta logica del ragionamento valutativo, esposto in sentenza.

La disamina comparativa dei rilievi fotografici, solo in parte allegati al ricorso e riproducenti il solo locale cucina di casa N., non presenta aspetti di travisamento e la stessa difesa ha riconosciuto che le tracce ematiche erano più abbondanti nel disimpegno rispetto a quelle rinvenute in cucina e che la ferita riportata dalla vittima, ancorchè non interessante un'arteria e quindi non in grado di produrre un flusso a fiotti, aveva determinato un consistente sanguinamento con gocciolamento e precipitazione a terra di copioso materiale sanguigno. In tal modo non resta smentita la corretta inferenza della verificazione del ferimento di N. nel locale, da questi indicato, ove il predetto materiale era presente sul pavimento e sulle pareti in maggiori quantità ed ove era stato rinvenuto a terra un coltello, indicato come reperto 4, che si è ritenuto essere stato utilizzato dall'imputata per attentare alla vita della vittima, secondo quanto riportato in sentenza sulla scorta dei rilievi della polizia giudiziaria.

Nè la presenza di impronte di piedi nudi sul pavimento della cucina, derivanti da trasferimento di sostanza ematica e riconducibili alla persona offesa, consente di avvalorare la ricostruzione dei fatti offerta dall'imputata, poichè nulla esclude sul piano logico e sul piano delle emergenze probatorie che N. si sia recato in quell'ambiente, non al momento iniziale in cui aveva affrontato la nuora, ma durante la colluttazione successiva al proprio ferimento, circostanza dallo stesso non ricordata, oppure più semplicemente dopo la conclusione dell'episodio prima ancora dell'arrivo dei soccorsi e delle forze dell'ordine.

Anche il particolare delle tracce ematiche rinvenute all'interno del cassetto della cucina è stato oggetto di logica considerazione ed è posto in relazione all'estrazione del cassetto dalla sua sede, esito di una manovra violenta e repentina, nonchè al fatto che, secondo l'imputata, ella aveva prelevato il coltello per respingere l'aggressione del suocero armato di pistola in un momento in cui non si era verificato ancora il ferimento di nessuno dei due antagonisti, sicchè la collocazione della sostanza ematica nel cassetto non è compatibile con la versione difensiva "posto che nessuno dei presenti aveva raggiunto la cucina per prelevare alcunchè da quel cassetto" (pag. 22 sentenza). Il rilievo viene citato in ricorso, ma non è oggetto di smentita sul piano delle emergenze probatorie, nè quanto alla logica inferenza che se n'è tratta: che H. Patino sia stata ferita al polso destro per l'azione di un coltello brandito contro di lei da V. Anziani nel corso della colluttazione ingaggiata dopo il ferimento di N. è pacifico, ma si tratta di circostanza successiva al tentativo di sgozzamento di N..

Pertanto, le tracce in questione, per la Corte di appello frutto del gocciolamento dalla ferita al polso destro dell'imputata, cagionata da V.A., sono state prodotte in un momento successivo al ferimento di N. e non nella fase in cui l'imputata avrebbe tentato di difendersi dalla di lui aggressione. E' quindi del tutto logico ritenere che le stesse siano precipitate quando l'imputata aveva cercato e prelevato un secondo coltello col quale respingere l'azione di contrasto di N. e V.A..

Infine, va replicato che, quanto alle ragioni per collocare la condotta offensiva dell'imputata in cucina, anzichè nel disimpegno, mentre per N. era indifferente indicare un ambiente, anzichè altro, per l'imputata non è altrettanto vero, in quanto soltanto riferendo di avere agito in quel luogo poteva sostenere di avere prelevato al momento un coltello a scopo difensivo e non aggressivo.

1.3.3.4 E' infondata anche la censura che contesta la valutazione dell'atteggiamento tenuto dall'imputata dopo i fatti e delle frasi percepite dalle forze dell'ordine sopraggiunte, allorchè ella, inseguendo ancora il marito, gli aveva detto "ti sta bene quello che è successo, quello che ti ho fatto". Per la Corte di appello si tratta di espressioni minacciose e rivendicative di azione violenta, che il marito si era meritato per il comportamento infedele, del tutto coerenti con l'aggressione portata contro il di lui padre, non con una reazione difensiva che si è costretti a porre in essere dalla violenza altrui. Sul punto la difesa propone una lettura alternativa della circostanza, che è in sè palesemente illogica ed in contrasto con quanto risulta dall'annotazione di servizio e con lo stato d'animo ancora aggressivo della donna.

1.3.3.5 In ricorso vengono poi evidenziate contraddizioni presenti nelle dichiarazioni di No.Gi.. In realtà l'unico aspetto di contraddizione interna alla rievocazione dell'accaduto, segnalato dalla difesa, riguarda il soggetto che aveva bussato alla camera da letto di N.G. durante la colluttazione tra l'imputata, No.Gi. e la convivente di questi, ossia l'incertezza se fosse stata H.P. o V.A., Si tratta però di un particolare che riveste un rilievo del tutto marginale a fronte di una rievocazione complessiva dell'episodio che per quanto riguarda la persona offesa è stata apprezzata come logica, coerente, dettagliata e riscontrata sotto quasi tutti i profili oggettivi. In ogni caso, come riportato in sentenza, la stessa V.A., sentita nell'immediatezza dei fatti, ha affermato di avere lei bussato alla porta della camera di G. per farlo intervenire a difesa del padre, il che smentisce sia stata la stessa imputata a chiedere aiuto in una situazione di soccombenza incolpevole, indotta dall'aggressione portata contro la sua persona da altri.

1.3.3.6 Si assume in ricorso che in ordine al numero ed agli utilizzatori dei coltelli rinvenuti sul luogo del crimine la sentenza non è convincente e contrasta con i dati emersi dalle indagini.

La sentenza in verifica alle pagg. 26-30, richiamando anche il fg. 183, ha esaminato le dichiarazioni di V.A., la quale ha sempre affermato di avere notato in mano all'imputata sin dal primo avvistamento coltello contrassegnato col n. 2), che nel verbale di sopralluogo (allegato 8 al ricorso) viene descritto come reperto 4 e come dotato di manico in legno chiaro striato, di lunghezza cm. 39 e lama cm. 26, con modeste tracce ematiche su entrambi i lati della lama, "per il taglio del prosciutto", quindi dalla lama lunga e stretta appena due centimetri, rinvenuto nell'anticamera che separa zona notte da zona giorno dove c'è la stufa, vicino all'ingresso del bagno (foto 26-29). Sempre in sentenza si è osservato che nessuno degli occupanti la casa lo ha riconosciuto come appartenente alla sua dotazione e che G. ha riferito di averlo visto a terra dopo allontanamento della moglie sul pavimento davanti alla porta del bagno.

Si è quindi riscontrato l'impiego nel corso della colluttazione con l'imputata di un secondo coltello, descritto da V.A. come da lei stessa prelevato dalla cucina di casa e usato per contrastare l'imputata, quindi gettato fuori dall'abitazione sul tetto della vicina officina, ove era stato poi recuperato dai Carabinieri: si tratta di quello contrassegnato dal n. 3) (fg. 184), avente impugnatura bianca e lama lunga ed affusolata.

Infine, in sentenza si fa menzione di un terzo coltello (fg. 182), contrassegnato col n. 1), che V.A. e No.Gi. e N.G. hanno riconosciuto come proveniente dalla cucina di casa e che nel verbale di sopralluogo è descritto come reperto 5, coltello da carne dal manico in legno marrone, della lunghezza di 36 cm. e lama di 21 cm., intriso di sangue su entrambi i lati della lama e dell'impugnatura, rinvenuto all'interno della camera da letto di G., che questi ha riferito di avere visto impugnato dalla moglie quando stava colluttando col padre e che le aveva tolto e fatto cadere a terra nei pressi del disimpegno per poi gettarlo alle spalle in camera da letto.

In ricorso si sostiene che nella fase iniziale dell'episodio sarebbe stato impiegato dall'imputata il coltello n. 1) e si cita un passaggio delle prime dichiarazioni di No.Gi. del 30 agosto 2016, di N.G. del 3 settembre 2016 e di V.A. del 31 agosto 2016, i cui verbali non sono stati prodotti in allegato, nè trascritti integralmente, il che li rende non valutabili in questa sede di legittimità per carente autosufficienza. In sentenza si riporta, invece, quanto costantemente affermato da V.A. sul fatto che, mentre stava ancora colluttando con No.Gi., H.P. aveva impugnato il coltello n. 2), non riconosciuto da nessuno dei testi a carico come appartenente alla casa, nonchè quanto riferito anche dalla vittima sul prelievo da parte dell'imputata di un secondo coltello dalla cucina con il quale aveva continuato a cercare di colpire i suoi antagonisti sino a che era stata disarmata dall'intervento di N.G..

Nella ricostruzione operata dalla Corte di appello in base alle evidenze disponibili si è ritenuto che H.P. si era avvicinata a N.G., trovatasi al suo cospetto in modo imprevisto e accecata dalla gelosia, compreso che non avrebbe potuto sorprendere in flagrante adulterio il marito, come aveva sperato, aveva impugnato un coltello - o forse due- quello contrassegnato col n. 2) portato dall'esterno -forse anche il n. 1) prelevato dalla cucina del suocero-, nascosto dietro la schiena per non farlo vedere, quindi, quando il suocero si era girato di spalle, con una mano lo aveva afferrato per la schiena e con l'altra gli aveva sferrato una coltellata al collo. Ciò che nel giudizio di merito ha assunto rilievo decisivo è la circostanza pacifica che era stata la donna ad accoltellare il suocero e che l'aveva fatto con il coltello poi rinvenuto nell'abitazione, restando irrilevante se lo avesse condotto appositamente con sè dall'esterno o prelevato dalla casa prima di affrontare la persona offesa.

Nell'impugnazione siffatta ricostruzione degli accadimenti è stata criticata come improbabile per l'impossibilità per l'imputata di tenere in mano due coltelli e contemporaneamente colpire la vittima, richiamando sul punto i rilievi del Tribunale del riesame e sostenendo che No.Gi., quando aveva descritto in data 1 settembre 2016 la fase antecedente l'accoltellamento subito, aveva rievocato con le mani la frase pronunciata dalla nuora "Io amo G." come se quei gesti li avesse fatti la donna, cosa che rendeva impossibile impugnare al tempo stesso due coltelli.

Le perplessità dei giudici del riesame non assumono valore, essendo frutto di una conoscenza parziale dei dati investigativi, rapportata al momento del loro intervento. Inoltre, l'argomentazione in questione si basa su un dato dichiarativo reso indisponibile per questa Corte, perchè il relativo verbale non è stato prodotto in allegato, nè trascritto; la stessa è poi frutto di un'interpretazione personale e del tutto opinabile, priva di valenza dimostrativa oggettiva ed inidonea di per sè a dare conto del compimento di quel gesto da parte dell'imputata e non piuttosto del dichiarante.

1.3.3.7 La difesa censura il giudizio reso dalla Corte di appello in ordine alle consulenze medico-legali, le ultime due delle quali, espletate dai Dott.i R. e Ma., avevano assegnato maggiore credibilità al racconto effettuato dall'imputata ed escluso che il colpo di coltello fosse stato inferto da tergo.

La Corte di appello alle pagg. 34-39 ha giustificato la propria decisione sul punto e l'adesione al giudizio espresso dal consulente di parte prof. M. circa la compatibilità della dinamica dell'aggressione, descritta da N., con gli esiti dell'azione in ragione della collocazione della ferita alla parte anteriore del collo, rilevando che, se imputata e parte lesa si fossero fronteggiati, il tipo di lesione provocata sarebbe del tutto inusuale; più probabile sarebbe che "l'autore del colpo affondi la lama nell'addome della vittima, se il coltello è impugnato con la lama che sporge dal pollice, ovvero nel torace, qualora l'arma sia impugnata con la lama che sporge dal mignolo; in ogni caso di regola in siffatti casi il colpo è portato affondando la lama con un effetto penetrante" e non di taglio come accaduto.

Ha quindi mosso puntuali critiche alle conclusioni rassegnate dal Dott. R., perchè apodittiche e incuranti del possibile annullamento della differenza di statura tra i due soggetti grazie all'allungamento del braccio ed alla presa da tergo che aveva agevolato ulteriormente il gesto del taglio alla gola della vittima.

Ha osservato che la differente altezza è compatibile con il tipo di ferita provocata e con l'andamento del colpo, portato da sinistra a destra rispetto al torace con movimento circolare, indicativo dell'intento di recidere i vasi del collo, causa di "un taglio radente molto superficiale nella parte iniziale del colpo, ossia nella regione toracica sinistra di No.Gi., mentre è molto profonda, con un taglio netto dei tessuti del collo, nella parte finale del taglio, ossia nella parte destra di tale parte anatomica... Risulta infatti evidente che la fase iniziale della lesione - quella cioè che inizia nella parte più bassa del corpo della vittima, a livello del torace - è quella più "lontana" per l'imputata, la quale, aggredendo la vittima dalla parte destra, non riesce ad affondare il coltello nel tessuti della regione del pettorale sinistro, mentre la fase finale, quella afferente alla parte destra del collo, è quella nella quale la donna riesce ad imprimere maggior forza all'arma che impugna, provocando lo squarcio che si nota nei reperti fotografici"(pag. 35 sentenza).

Ha dissentito dalle considerazioni dei predetti consulenti anche perchè gli stessi non hanno offerto spiegazione delle modalità di causazione di quella lesione da parte di soggetto agente trovatosi in posizione frontale rispetto alla vittima a compiere un movimento semicircolare da sinistra a destra e, con specifico riferimento alla consulenza del Dott. Ma., ha concluso che: "oltre a trascurare taluni dati e a fornire opinioni assai generiche, deborda in varie direzioni dai limiti delle proprie specifiche competenze professionali per assumere l'impropria veste di "difensore" dell'imputata, così da rendere vieppiù poco credibili le conclusioni espresse".

In ricorso si sostiene che il consulente del pubblico ministero, Dott. R., aveva tenuto conto di tutti gli elementi che per la Corte di appello sono stati ignorati ed aveva basato le proprie conclusioni sullo studio delle zone interessate dal traumatismo e sul criterio anatomico; siffatte deduzioni non sono però state ritualmente formulate, dal momento che si basano sulla citazione di alcuni passaggi estratti dalla relazione di consulenza, che non è stata messa a disposizione di questa Corte col conseguente difetto di autosufficienza dell'impugnazione già riscontrato in relazione ad altri aspetti di censura.

Resta dunque insuperata la correttezza logica del rilievo sulla improbabilità di un'aggressione portata contro la vittima da posizione, frontale che abbia causato quegli esiti pregiudizievoli e non sia stata accompagnata da nessun tipo di lesioni da difesa, non riscontrate sulla persona di No.Gi.. Tale rilievo avvalora l'ipotesi accusatoria di un assalto avvenuto da tergo ed in modo improvviso ed imprevisto senza che la vittima avesse potuto avvedersene ed attuare una qualunque reazione evitante o di contrasto, pur essendo fisicamente più alta e prestante ed armata di una pistola.

Quanto al riscontro di lesioni sulla persona dell'imputata, argomento già ampiamente trattato, non giova alla difesa citare uno stralcio della relazione del consulente del pubblico ministero, contenente la trascrizione del diario clinico allestito presso l'istituto penitenziario ove la donna era ristretta, ma in assenza di una qualunque valutazione medico-legale di compatibilità con gli asseriti colpi infertile al capo dalla pistola del suocero.

Ed ancora in ordine alle considerazioni formulate dal consulente della difesa, Dott. Ma., la loro svalutazione è ampiamente motivata in sentenza a ragione della formulazione da parte del tecnico di giudizi non strettamente attinenti al sapere medico-legale, ma estesisi alla valutazione soltanto della parte del materiale probatorio, confacente alla tesi sostenuta dall'imputata, e delle testimonianze raccolte, che la Corte di appello ha disatteso in forza di una pluralità di considerazioni già in precedenza esaminate e che il Collegio reputa del tutto logiche, coerenti e non contraddette da altre emergenze.

La sentenza non presenta vizi nemmeno sotto il profilo considerato.

Si ricorda che non compete alla Corte di cassazione stabilire se la diagnosi ed il giudizio medico-legale recepiti in sentenza siano i più attendibili o se debbano loro preferirsi difformi considerazioni dei periti o dei consulenti delle parti, essendo oggetto dello scrutinio del giudice di legittimità, che non è detentore di conoscenze scientifiche privilegiate, soltanto la logicità e la coerenza della giustificazione fornita e la correttezza metodologica seguita rispetto al sapere scientifico che fornisce le informazioni di base per la ricostruzione dell'accaduto.

Dal canto suo il giudice di merito può aderire ad una tesi scientifica piuttosto che ad altra, a condizione che offra congrua spiegazione della preferenza accordata e delle ragioni di svalutazione di quella difforme senza che al contempo sia tenuto ad esaminare ogni singolo passaggio, ogni affermazione della consulenza o della perizia disattesa, potendo in via discrezionale condurre la selezione e la valutazione dei dati probatori con l'obbligo di fornire logica esposizione degli argomenti che hanno determinato il suo convincimento: il vizio di motivazione sarà ravvisabile soltanto quando risulti che le considerazioni non accolte siano tali da dimostrare in modo evidente ed immediato l'erroneità del giudizio recepito (sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, rv. 269908; sez. 4, n. 15493 del 10/03/2016, B, rv. 266787; sez. 6, n. 5748 del 9/01/2014, Homm, rv. 258630), evenienza che nel caso in esame non ricorre.

1.3.3.8 n ricorso denuncia poi carenze ed illogicità motivazionali della sentenza impugnata in ordine alla consulenza tecnica della difesa, occupatasi del behavioural screening, ossia della coerenza tra il contenuto delle espressioni verbali utilizzate da No.Gi. nel corso delle sue deposizioni ed il linguaggio del corpo in quel contesto, dalla quale sarebbero emerse numerose contraddizioni significative della non veridicità delle sue dichiarazioni.

Il tema è stato affrontato dalla Corte di appello, che in termini perfettamente logici ed ampiamente giustificati, ha ritenuto di non poter assegnare nessuna valenza dimostrativa all'indagine condotta dalle ausiliarie del consulente tecnico della difesa. Premesso che tale disciplina non è dotata di solide basi scientifiche e che la sua validità è discussa tra gli esperti, ha escluso che il giudizio espresso possa assumere un valido significato per sostenere che No.Gi. ha mentito.

Sul presupposto dell'inesistenza di un linguaggio del corpo universale, presente in modo costante e ripetitivo in ciascuna persona, come tale riconoscibile, ha ritenuto fatale per l'attendibilità delle considerazioni difensive l'omesso studio dei movimenti e della gestualità specificamente riferibili al soggetto considerato, che le ausiliarie del Dott. Ma. non avevano incontrato di persona, ma esaminato nei soli filmati realizzati nel corso delle informazioni rese dal teste, nonchè il mancato esame della sua personalità e del contesto specifico in cui il suo narrato era stato raccolto.

Al contrario, il suo linguaggio gestuale è stato interpretato alla luce di un non meglio identificato codice ed in modo avulso dalla personalità, dal carattere, dalle esperienze di vita, dallo stato d'animo e dalle situazioni idonee ad influire sulla sfera emotiva. Inoltre, sempre secondo quanto esposto in sentenza, con tale discussa metodica si è preteso di formulare un giudizio di attendibilità della fonte dichiarativa, che compete in via esclusiva al giudice di merito e non è delegabile ad un perito o consulente di parte.

La difesa contrappone a tali rilievi la mera apparenza della motivazione che ha ritenuto non attendibile sul piano scientifico l'indagine denominata behavioural screening, in quanto: a) esiste ed è attendibile un repertorio di espressioni comportamentali innato ed individuabile in determinate contrazioni muscolari, sicchè è possibile individuare espressioni non verbali associate alle emozioni invariabili ed universali; b) tali comportamenti universali difficilmente possono essere controllati in modo volontario; c) l'indagine sulla personalità costituisce settore non coinvolto con lo studio del linguaggio del corpo; d) l'ordinamento giuridico non vieta, l'utilizzo di tecniche impiegate per valutare l'attendibilità del contributo dichiarativo, come riconosciuto in una precedente sentenza della Corte di cassazione, sez. 3, n. 15891 del 2016.

Le censure sono infondate ed in parte persino inammissibili perchè genericamente formulate e prive di adeguato riscontro.

In primo luogo, il ricorso prescinde totalmente dall'illustrare anche nel suo aspetto meramente enunciativo il giudizio che sarebbe stato espresso dalle ausiliarie del consulente di parte Dott. Ma. in ordine al linguaggio gestuale di No.Gi., lasciando soltanto intendere come lo stesso non sarebbe coerente con il contenuto informativo delle sue locuzioni. Inoltre, si ignorano del tutto le ragioni di tale severo giudizio, che nemmeno nelle sue riassuntive conclusioni è citato in ricorso, mentre la relazione non è stata prodotta in allegato e nemmeno integralmente trascritta, restandone così preclusa a questa Corte la valutazione.

La difesa ha, invece, prodotto la trascrizione dell'esame della Dott.ssa J., ausiliaria del Dott. Ma., condotto dal G.u.p. del Tribunale di Udine nel giudizio di primo grado, la cui attività professionale è stata da costei riassunta nella collaborazione con l'Università degli studi di Trieste ed i cui titoli di qualificazione scientifica sono stati dichiarati nello studio dei sistemi di codifica e decodifica del comportamento motorio gestuale e della mimica facciale secondo la metodica denominata Facial Action Coding System e della tecnica di misurazione dei tempi di reazione in risposta a frasi che descrivono eventi autobiografici, denominata Autobiographical Implicit Association Test, con la precisazione che nel presente procedimento la stessa si è occupata dell'aspetto giuridico, ossia dell'applicabilità di queste tecniche al processo penale.

Ebbene, quanto al punto a) delle contestazioni difensive, anche la predetta testimonianza non offre valido riscontro dell'esistenza di una base scientifica attendibile ed accreditata delle tecniche che sarebbero state impiegate. Nulla è dato conoscere al riguardo e nessun elemento valutabile è stato offerto nemmeno in ricorso, limitatosi a richiamare l'elaborazione di un "repertorio di espressioni comportamentali", da utilizzare quale parametro cui rapportare la mimica e la gestualità del dichiarante con la citazione di alcuni autori, sfornita di riscontri e della relativa produzione documentale.

Pur nella condivisa consapevolezza che ogni sapere scientifico presenta in sè un margine di fallibilità ed offre risposte in termini probabilistici, nel caso specifico soltanto un'adesione fideistica e supina potrebbe condurre a recepire valutazioni del tutto immotivate quanto ai criteri applicati di individuazione dell'universalità del linguaggio corporeo ed alla loro affidabilità sul piano oggettivo.

Altrettanto è a dirsi quanto all'argomentazione di cui al punto b) delle deduzioni difensive: restano ignote e non spiegate le ragioni per le quali i presunti comportamenti universali, di ignota identificazione, non possano essere controllati in modo volontario dal soggetto che rende dichiarazioni e quindi non possano condurre ad esiti falsati.

Quanto al punto c) dei predetti rilievi, non è comprensibile in quali termini la personalità e l'emotività individuali non possano influenzare anche il comportamento gestuale della persona: il ricorso cita un passaggio della consulenza di parte in cui si tratta del "repertorio comunicativo" soggettivo, composto da movimenti facciali o motorio-gestuali, le c.d. base/ines, da studiare prima dell'analisi degli atteggiamenti non verbali, ma prescinde completamente dall'indicare in cosa consistano tali presupposti, quali siano stati riscontrati nella testimonianza di No.Gi. e quale rilevanza possano assumere nel caso specifico.

Resta, infine, da aggiungere che, in ordine al già avvenuto riconoscimento della legittimità di tecniche analoghe a quelle impiegate dal consulente di parte, l'osservazione della Corte di appello sulla non pertinenza del metodo denominato CBCA è insuperabile: il caso affrontato e risolto da Cass., sez. 3, n. 15891 del 17/1/2015, dep. 2016, C, rv. 266629, riguardava reati sessuali commessi in danno di minore, della cui capacità a testimoniare si era discusso e si era acquisita positiva evidenza mediante i criteri di validazione forniti dal sistema Statement Validity Analysis, che però consiste in una tecnica del tutto diversa da quella impiegata nel behavioural screening, consistente nell'analisi del contenuto della deposizione in base ai criteri CBCA e non del linguaggio corporeo non verbale, che era stata applicata per la diversa finalità processuale della verifica della veridicità della testimonianza resa da un soggetto minore di età, ossia in condizioni di immaturità psicofisica.

I superiori argomenti inducono ad escludere che le valutazioni negative espresse dalla Corte di appello presentino profili di manifesta illogicità o insufficienza esplicativa.

Osserva il Collegio che in linea di principio l'ordinamento non vieta il ricorso ad un accertamento basato su metodo scientifico che non è ancora stato riconosciuto come attendibile dalla comunità degli studiosi della materia, ma pretende che i relativi principi teorici siano verificabili nella loro affidabilità tecnico-scientifica e siano verificati nella loro concreta applicazione al caso anche in riferimento alla qualificazione professionale dell'esperto, secondo gli ordinari indici di riscontro.

Il ricorso al sapere scientifico nell'ambito processuale penale si giustifica per la necessità di un apporto di conoscenze che non costituiscono patrimonio del giudice, nè oggetto di competenze ordinarie diffuse nella collettività ed appronta uno strumento indispensabile per l'accertamento degli accadimenti sul piano fattuale. Il compito del giudice di merito, al quale non è consentito ergersi ad autore della legge scientifica necessari) per la pronuncia sulla responsabilità penale, nè di arbitro compositore di - contrasti tra esperti sul piano del riconoscimento della fondatezza di una teoria rispetto ad altra, si esplica nella valutazione critica del sapere scientifico introdotto nel processo, da condurre mediante la duplice verifica circa l'affidabilità della tesi che fornisce i criteri inferenziali, propugnata dal perito o dal consulente tecnico e dell'autorità scientifica dell'esperto (Sez. U., n. 9163 del 25/01/2005, Raso, rv. 230317; sez. 4, n. 45935 del 13/06/2019, PG, rv. 277869; sez. 4, n. 12175 del 3/11/2016, dep. 2017, Pc in proc. Bordogna ed altri, rv. 270384; sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini ed altri, rv. 248943).

Sotto il primo profilo, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, è necessario fare ricorso ad una pluralità di indici, significativi dell'attendibilità della teoria, come elaborata negli studi che la sostengono, ossia alle basi fattuali sulle quali è condotta la ricerca, all'ampiezza, al rigore ed all'oggettività del metodo, al grado di riscontro che i fatti riconoscono alla tesi, alla sua capacità esplicativa, al grado di consenso che riscuote nella comunità scientifica nella consapevolezza che l'adesione unanime di tutti gli studiosi ad una tesi è evento molto raro. Quanto al secondo, è richiesta la verifica circa l'identità, l'autorevolezza, la qualificazione professionale, l'indipendenza del soggetto che ha condotto la ricerca. Rispetto alla complessa indagine così tratteggiata, il sindacato esercitabile dalla Corte di cassazione non riguarda il giudizio sull'attendibilità del sapere scientifico utilizzato o meno per la decisione giudiziale di merito, ma soltanto la razionalità delle valutazioni espresse in sentenza e la correttezza metodologica che le ha determinate.

Ebbene, raffrontata con i criteri così riassunti, la decisione impugnata non presenta vizi di sorta perchè conclusivamente la prospettazione difensiva si basa su una consulenza di parte, rispetto alla cui svalutazione il ricorso non ha potuto dimostrare, nè l'errore giuridico sotteso, nè qualsiasi vizio motivazionale. Va dunque ribadito il seguente principio di diritto: "In tema di prova scientifica, il giudice può porre a fondamento della propria decisione una teoria non sottoposta al vaglio della comunità scientifica o non ancora accreditata, purchè sia documentata la base scientifica dell'indagine condotta, gli studi pregressi, i fondamentali criteri oggettivi ed i riscontri fattuali che la supportano, nonchè le credenziali di professionalità, qualificazione, indipendenza degli autori".

E' sufficiente al riguardo considerare le espressioni utilizzate dalla Dott.ssa J. nel corso del suo esame, le cui trascrizioni sono allegate al ricorso ed in tali termini consultabili da parte di questa Corte, laddove segnala nella gestualità di N.G. l'assenza di paura, l'atteggiamento dominante, i movimenti tipici dell'attacco e non della difesa o della sottomissione, le incongruenze descrittive delle reciproche posizioni, sua e della nuora, al momento dell'accoltellamento, l'assenza di particolari sul ferimento e sulle sensazioni fisiche avvertite, l'insicurezza o la negazione gestuale di quanto dichiarato: si tratta di affermazioni apodittiche, prive di qualsiasi illustrazione dei parametri utilizzati e quindi di spiegazione razionale, comprensibile e verificabile, che di frequente sconfinano nell'analisi del contenuto dichiarativo della testimonianza e nel confronto con altri dati processuali, ossia in un campo del tutto estraneo all'oggetto ed alla finalità della consulenza stessa. Inoltre, evidenziare, come è stato fatto nel corso dell'esame della Dott.ssa J., mimica segnalata come incompatibile con le sensazioni di dolore provate dalla vittima significa ignorare deliberatamente che il dichiarante, comunque si voglia ricostruire ed interpretare il dato oggettivo, aveva realmente subito un feroce accoltellamento con modalità repentine ed impreviste, che non possono non avere cagionato dolore e timore in chi le ha subite. Tale rilievo rende ancor più evidente come l'analisi condotta sia inattendibile e priva di qualsiasi contenuto di scientificità.

In definitiva, il primo motivo di ricorso va respinto perchè, oltre ad essere basato su dati incerti e non verificati, omette un confronto completo con tutti gli elementi che la Corte di appello ha valorizzato in una disamina completa ed ampiamente motivata, consistiti in: a) intrinseca credibilità della versione di No.Gi.; b) inattendibilità della differente versione fornita dall'imputata, generica su alcuni momenti decisivi ed in contrasto con emergenze processuali come la mancanza di ferite da calcio di pistola alla testa; c) convergenza con le deposizioni di altri testi escussi nell'immediatezza del fatto e nell'impossibilità di concordare una versione di comodo, quali N.G., V.A.J. e N.M.D.G.; d) incompatibilità delle frasi pronunciate dall'imputata all'indirizzo del marito dopo l'accoltellamento, volte a rivendicare il gesto lesivo e non a sostenere di averlo commesso per difendersi.

2. Il secondo motivo di ricorso contesta la configurabilità del delitto di tentato omicidio.

La sentenza impugnata quanto ad idoneità degli atti compiuti dall'imputata ha basato il proprio giudizio sugli esiti dell'accoltellamento come riferiti dal sanitario che aveva effettuato l'intervento chirurgico su No.Gi. e ha osservato che, a ragione del mezzo impiegato e delle sue caratteristiche di lunghezza della lama, della sede anatomica attinta, sede di importanti vasi sanguigni, delle modalità esecutive del gesto criminoso, tali atti erano certamente idonei a cagionare il decesso della vittima, posto che per pochi millimetri il colpo non aveva reciso la giugulare interna ed erano altresì univocamente indirizzati a sortire l'esito letale. Il tutto secondo un procedimento valutativo condotto correttamente mediante prognosi postuma, che prescinde dalla mancata verificazione di un concreto pericolo per la vita dell'offeso, requisito giuridicamente non richiesto.

2.1 Rispetto ad argomentazioni puntuali e fedeli rispetto ai dati oggettivi acquisiti, gli interrogativi sulle ragioni del colpo sferrato al collo e non al torace, così come i dubbi sul fatto che l'imputata avesse portato dall'esterno il coltello utilizzato o sulla pregressa intenzione della donna di uccidere il marito, se sorpreso con l'amante, non possiedono nessuna capacità realmente critica, perchè inidonei a smentire la pacifica commissione del gesto aggressivo e l'attentato commesso consapevolmente alla vita della persona offesa. Del pari le obiezioni sulla natura del rapporto coniugale e sul tentativo di ricomporlo, sulla reazione meramente difensiva dell'imputata che è stata smentita sotto tutti i possibili profili, non possono contraddire la logica e dettagliata ricostruzione degli eventi, operata dai giudici di merito, ossia il fatto certo che l'imputata, vistasi scoperta dal suocero ed impedita nella sua ricerca del marito all'interno della casa ed esposta al rischio di un intervento dei Carabinieri per l'intrusione clandestina nell'abitazione altrui, abbia reagito in modo violento ed improvviso contro l'ostacolo che si frapponeva ai suoi piani al solo fine di eliminarlo. Del resto qualora ella avesse inteso soltanto ferire o minacciare, avrebbe potuto mirare ad un braccio o ad altre parti anatomiche, non già alla gola e non avrebbe nemmeno posto in essere un'azione di sgozzamento con modalità occulte, repentine ed imprevedibili, che nel giudizio espresso nelle due conformi sentenze di merito sono state apprezzate come oggettivamente rivelatrici e senza aspetti di ambiguità dell'intenzione di uccidere.

2.2 La soluzione offerta al caso dalla sentenza in esame, oltre ad essere coerente con i canoni di logica e non contraddizione, rispetta i principi interpretativi, fissati da questa Corte, per individuare la considerazione giuridica della fattispecie di tentato omicidio, che non resta condizionata, nè dall'entità delle lesioni riportate dall'offeso, nè dall'eventuale pericolo per la sua sopravvivenza, elementi estranei al perimetro valutativo del tentativo di omicidio, che implica un giudizio fattuale rapportato al momento dell'azione e non a quello delle sue conseguenze. In linea di principio, non è dalla severità delle lesioni che può giudicarsi l'idoneità dell'azione a cagionare l'evento morte, dovendosi valutare "ex ante" tale profilo in base alle sue caratteristiche ed alle modalità di realizzazione, in modo da stabilire la reale adeguatezza causale e l'attitudine a determinare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto. Non vengono dunque in rilievo le effettive conseguenze del comportamento, perchè, viceversa, in caso di commissione di un delitto tentato in cui l'evento non si realizza, l'azione non sarebbe mai idonea (sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, rv. 248550; sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa e altri, rv. 248305; sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, rv. 241339).

2.3 Resta da aggiungere che, quanto all'accertamento del dolo è diretto, che ha sostenuto l'azione criminosa della ricorrente, la sentenza ha evidenziato che l'imputata non si era limitata a sferrare il colpo di coltello contro No.Gi. che l'aveva gravemente ferito, ma aveva insistito nel cercare di colpirlo ulteriormente, tanto da avere ingaggiato una colluttazione con lo stesso e poi con la sua convivente ed il marito, accorsi in suo aiuto, avendo allo scopo prelevato altro coltello e tentato anche di usare contro di loro la pistola abbandonata dal suocero. E' significativo che, per quanto riportato in sentenza, N.M.D.G. abbia riferito che la notte del (OMISSIS), svegliata da N.G., il quale le aveva riferito di aver sentito qualcuno tentare di entrare nella stanza, aveva udito la zia V.A. gridare "...oh Dio, cosa ti hanno fatto Non lasciarmi.... Non morire... e nel contempo la voce dell'imputata gridare: "....stronzo.... vieni qua che ti ammazzo", frase che ha esternato anche a chiare parole il suo intento contro il suocero, ma che in ricorso non riceve nessuna confutazione.

3. In conseguenza di quanto già osservato in ordine al primo motivo di ricorso, anche il terzo motivo non ha fondamento.

La giustificazione fornita dall'imputata è stata valutata come inattendibile, improbabile e smentita da dati oggettivi, dichiarativi e dal suo stesso contegno anche successivo.

In ogni caso, anche a voler considerare che H.P. si era vista affrontata dal suocero armato di pistola, i giudici di appello, richiamando sul punto la sentenza di legittimità che aveva respinto il ricorso avverso l'ordinanza del tribunale del riesame, hanno ritenuto dimostrato come ella stessa con il suo comportamento di intrusione notturna e furtiva nell'abitazione altrui avesse creato i presupposti per la minaccia patita con l'arma e per la verificazione della situazione di pericolo, cui, anzichè fuggire o chiedere aiuto agli altri occupanti la casa, ha reagito in modo assurdamente sproporzionato e tale da far escludere sotto ogni profilo, anche putativo, i presupposti applicativi della scriminante della legittima difesa. Nessun vizio è dunque possibile riscontrare nella motivazione della sentenza che ha reso ampio conto di decisione, giuridicamente ineccepibile.

4. Il quarto motivo investe il giudizio espresso in riferimento al delitto di minaccia di cui al capo c).

4.1 La difesa segnala una discordanza nelle deposizioni rese da N.G. del 30 agosto 2016 e dell'1 settembre 2016 e da V.A.Y. il 31 agosto 2016 in riferimento al luogo ed al momento nel quale l'imputata avrebbe tentato due o tre volte di sparare contro le loro persone. La Corte di appello, dopo avere escluso che la mancata rivelazione di tale tentativo da parte di V. Anziani nel primo verbale di s.i.t. ne compromettesse l'attendibilità, sul punto ha rilevato che il nucleo essenziale delle due testimonianze concorda nell'indicare la condotta dell'imputata, ben potendo essere accaduto che, stante la concitazione del momento e la sequenza convulsa delle rispettive azioni, uno dei due non avesse conservato un ricordo esatto del luogo in cui la minaccia era stata realizzata. Ha quindi aggiunto come del tutto improbabile che costoro si fossero accordati per calunniare l'imputata in ordine ad un particolare del tutto secondario e trascurabile che non aveva sortito conseguenze in loro danno e che, se avessero concordato una versione di comodo, avrebbero riferito in termini del tutto sovrapponibili.

4.2 Non giova alla difesa sostenere che le due narrazioni sarebbero totalmente divergenti, perchè, al contrario, esse investono soltanto il luogo di commissione del fatto e la posizione assunta quando H.P. aveva brandito la pistola contro le loro persone, circostanza che essi avevano comunque riferito anche a G. prima ancora di essere interrogati al riguardo. In ogni caso non si spiega le ragioni di un deliberato mendacio soltanto su tale particolare.

Non vale nemmeno richiamare la decisione resa dal Tribunale del riesame per sostenere la falsità delle dichiarazioni dei due testi a carico, poichè, come già detto, frutto di un giudizio probabilistico, tipico del subprocedimento cautelare e non reso a cognizione piena.

4.3 Infine, anche la deduzione che pretende essere il reato impossibile per inidoneità dell'azione non può essere presa in esame: trattasi di questione inammissibile perchè non devoluta alla cognizione del giudice di appello, che non la riporta tra i motivi di gravame e non ne tratta e di cui non si dimostra la già avvenuta formulazione. A ciò si aggiunge l'infondatezza della contestazione difensiva: per come ricostruita in sentenza, l'azione era stata compiuta con uno strumento idoneo, costituito da arma da fuoco funzionante, munita di proiettile, che sarebbe stata resa efficiente con la sola e semplice manovra di inserimento del colpo in canna, previa rimozione della sicura, impedita all'imputata nella concitazione del momento dall'intervento di contrasto degli astanti. La sentenza prospetta dunque in rettifica rispetto all'originaria imputazione la corretta individuazione della fattispecie del tentato omicidio nella condotta di azionare più volte il grilletto di arma da fuoco già carica: nella condivisa interpretazione fornitane da questa Corte, il reato impossibile per inidoneità dell'azione si realizza quando tale carenza sia assoluta nel senso che al momento di compimento della condotta, per insufficienza strutturale o strumentale del mezzo impiegato, la stessa sia priva di astratta capacità di determinare causalmente l'evento, condizione che nel caso non ricorre (sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, Mazzarella, rv. 278085; sez. 5, n. 26876 del 28/04/2004, Marchesini, rv. 229872; sez. 5, n. 11890 del 22/10/1997, Guidozzi, rv. 209645).

5. L'ultimo motivo investe la decisione sotto il profilo sanzionatorio per la censurata mancata applicazione delle attenuanti generiche nella misura massima consentita. Anche sul punto la sentenza resiste alle critiche difensive: la decisione è stata giustificata a ragione dei motivi banali che avevano ispirato un'azione così violenta e rivolta, non già contro il marito e la sua amante, ma contro il suocero, non responsabile delle infedeltà coniugali del figlio, il che è stato considerato motivo sufficiente a dar conto dell'incrementata la gravità dei fatti e della pericolosità sociale dell'imputata. In secondo luogo, la sua condotta è stata apprezzata come rivelatrice di un dolo di particolare intensità tanto da averla indotta ad insistere nel tentativo di uccidere N.G. anche dopo il primo colpo infertogli, da avere prelevato la pistola da questi abbandonata con l'intento di sparargli e poi un secondo coltello, potendo essere disarmata e resa innocua soltanto grazie all'azione di tre persone.

La Corte di appello ha quindi offerto congrua e logica spiegazione della conferma delle scelte sanzionatorie operate in via discrezionale dal primo giudice, che si ricorda avere applicato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, in base alla considerazione di dati concreti ed effettivi, che concorrono a qualificare negativamente la vicenda criminosa nell'assicurato rispetto dei criteri dettati dall'art. 133 c.p.. Per contro, la pretesa simmetria commisurativa tra la pena base per il reato di maggiore gravità e l'entità della diminuzione riconosciuta per un elemento circostanziale favorevole non trova fondamento giuridico.

Per le considerazioni esposte il ricorso, infondato in tutte le sue deduzioni ed in parte anche inammissibile, va respinto con la conseguente condanna della proponente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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