appropriazione indebita sentenza

Con sentenza 3 novembre 2006 il Tribunale di Genova condannava D. I.M. alla pena di mesi 9 di reclusione ed Euro 300,00 di multa in relazione all'appropriazione indebita di un camper da lui preso in locazione e non restituito alla ditta A. s.n.c. di L. B. e L. al termine del concordato periodo d'uso. 

In data 15 dicembre 2008 la Corte d'Appello di Genova respingeva l'impugnazione dell'imputato e confermava la sentenza del Tribunale. Ricorre l'imputato con due motivi:

1. Erronea applicazione dell'art. 120 c.p., avendo ritenuto la Corte d'Appello di Genova che la società noleggiatrice del mezzo, unica querelante, fosse effettivamente legittimata a proporre querela, mentre tale legittimazione doveva essere riconosciuta al solo proprietario del mezzo, che era la società di leasing "H. A. A. B." s.p.a.

2. Illogicità della motivazione in ordine al fatto che l'imputato non sia mai stato titolare di patente di guida e alla conseguente ipotesi che altro soggetto, con documento falso, avesse preso a noleggio il mezzo.

Il ricorso è manifestamente infondato. Relativamente al primo motivo, si osserva che il delitto di appropriazione indebita non tutela semplicemente il diritto di proprietà, ma colpisce tutti i comportamenti conformi alla condotta materiale descritta nella fattispecie incriminatrice che comportino un abuso all'interno di un rapporto fiduciario tra due soggetti.

Il bene protetto dalla norma è proprio quel rapporto fiduciario, sicchè non rileva, ai fini dell'identificazione del soggetto passivo del reato (e quindi del titolare del diritto di querela) che egli sia il proprietario del bene appropriato, ma solo che sia uno dei protagonisti del pactum fiduciae attraverso la cui rottura si consuma l'appropriazione. In tali casi la condotta, criminosa viene in considerazione anche in quanto realizza la violazione di un interesse, di un diritto diverso, compreso pur esso nella tutela penale dell'art. 646 c.p. nell'ipotesi in cui la consegna della cosa a colui che se ne appropri illegittimamente sia eseguita da persona, diversa dal proprietario, che detenga legittimamente e autonomamente la cosa stessa (e che, quindi, non si limiti all'esecuzione materiale di un ordine o di un incarico ricevuto dal proprietario).

La violazione riguarda anche il rapporto personale e obbligatorio intercorso fra colui che affida la cosa e colui che se ne appropria illegittimamente; in tal caso, titolare del rapporto è, non già il proprietario della cosa, stessa, ma colui che esegue la consegna, il quale è anche titolare dell'interesse giuridico e del diritto all'uso predeterminato e alla restituzione della cosa: di conseguenza, soggetto passivo, persona offesa dal reato - e, quindi, titolare del diritto di querela - è anche la persona, diversa dal proprietario, che ha eseguito, in modo autonomo e indipendente, la consegna della cosa a colui che se ne appropriò abusivamente.

Da questo orientamento, che costituisce peraltro la conseguenza evidente e inevitabile di ordinarie nozioni istituzionali del diritto penale, la Corte non può distaccarsi. Nel caso di specie, non può dunque individuarsi il titolare del diritto di querela argomentando dalla sola proprietà del camper, occorrendo considerare il rapporto instaurato dal D.I. con la società noleggiatrice, nel cui ambito è avvenuta la consegna del mezzo e il cui adempimento ne richiedeva la restituzione. L'abuso del rapporto fiduciario si è verificato precisamente in danno del noleggiatore, la cui querela correttamente è stata considerata sufficiente a configurare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.

Il secondo motivo è inammissibile sotto due distinti e concorrenti profili: affronta esclusivamente questioni di merito che non possono essere oggetto del giudizio di legittimità, sollecitando una nuova ed alternativa valutazione della prova. Inoltre, sollecita tali irrituali valutazioni mediante la formulazione di mere ipotesi, anche su fatti dei quali egli ha conoscenza diretta, così violando l'art. 581 c.p.p., lett. c) nella parte in cui obbliga il ricorrente a indicare con chiarezza gli specifici elementi di fatto che dovrebbero sorreggere l'impugnazione.

In conclusione, i motivi proposti sono manifestamente infondati ovvero radicalmente inammissibili, ciò che determina l'inammissibilità del ricorso, alla quale si accompagna, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè, in ragione della responsabilità connessa alla natura dei motivi proposti, al versamento di una somma alla cassa delle ammende che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 16 aprile 2009. Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2009.

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